Antonioi Del Vecchio
San Giovanni Rotondo, sabato 23 marzo 2014 - Il dialetto torna di nuovo a scuola, a San Giovanni Rotondo. Vi ritorna per essere studiato, parlato ed amato, come lo era un tempo dall’intera comunità. Si comincerà domani, 23 marzo, alle ore 10.00, nell’Aula Magna dell’Istituto Superiore “L. Di Maggio”. Infatti, qui è prevista l’annunciata presentazione del terzo volume di poesie dialettali messo a punto dai Poeti del Gargano e dedicato ai Santi Patroni. La manifestazione vedrà i seguenti interventi: Rocco D’Avolio, dirigente scolastico; Franco Ferrara, curatore del libro; Rosa Di Maggio, scrittrice e critica letteraria, Gilda Virzo, docente; Geppe Inserra e Antonio Del Vecchio, giornalisti; Angelo Capozzi dell’Università del Crocese (Foggia).
La declamazione delle poesie, esternata dagli autori (Rocco Martella, Ischitella; Maria Teresa De Nittis, Isole Tremiti; Antonio Roberto,Manfredonia; Caterina La Torre,Monte Sant’Angelo; Onofrio Grifa e Michele Totta, San Giovanni Rotondo; Anna Piano, Alexis e Michelarcangelo Campanozzi ,San Marco in Lamis; Carmela Giagnorio, San Nicandro Garganico; Maria Rosaria Vera,Vico del Gargano; Isabella Cappabianca, Angela Ascoli, Anna Maria Strizzi e Nicola Principale,Vieste), sarà alternata dalle performance canoro-musicali dei Cantori di Civitate e dai balli di Aria Nova. Una volta il dialetto era un tabù per la scuola. Lo sarà sino a un trentennio fa per effetto della teoria vichiana dei corsi e ricorsi storici, allorché la lingua madre, espressione d’identità di una località e popolo, riprenderà il suo difficile cammino. Un processo, quest’ultimo, reso ancora più arduo per effetto della globalizzazione, che privilegia al posto delle lingue nazionali, quella Inglese, sconvolgendo così ogni originalità espressiva e inquinando i rispettivi vocabolari con l’anglicizzazione forzata dei termini tecnici in ogni campo.
Quindi, l’iniziativa odierna va controcorrente a quanto concepito in passato, allorché il dialetto era considerato di serie ‘B’, relegata com’era la sua parlata esclusivamente ai ceti popolari. In proposito, ecco che cosa capitò a chi scrive negli anni ’60. “Ero da qualche giorno a Napoli. Lo ero per frequentare, in veste di matricola, Lettere Moderne alla ”Federico II”. Popolosa università, quest’ultima, che allora serviva varie regioni del Sud. Mi trovavo nella rumorosa e frequentata Via Mezzocannone, quando ad un tratto mi si parò di fronte Tonino M., mio compagno al Liceo Classico “Giannone” di San Marco in Lamis sino all’anno prima. Egli, dopo avermi affettuosamente abbracciato, mi abbordò subito col sorriso sulle labbra e il suo fare sfottente: <<Oh che bello, finalmente ho qualcuno che conosco da importunare e da scambiare qualche parola! É da più di un anno che continuo a parlare puntualmente in Italiano con i miei colleghi di studi. Sono davvero scocciato. Certe volte invidio i Napoletani, che esprimono tutto quello che hanno dentro con il loro colorito e caloroso dialetto.
Sono contento di vederti, non tanto per averti accanto e sentirmi meno solo, quanto perché mi dai la possibilità di svuotarmi dei mille pensieri che covo dentro>>. E così stemmo per tutta la serata e nei dì seguenti a parlare di cose nostre, lui in perfetto ‘sangiovannaro’, ed io nell’idioma di casa mia. La questione continuò nei mesi seguenti, fino a quando egli non decise di trasferirsi con armi e bagagli ad altra Università e luogo. Attualmente è psicologo di lungo corso ed ogni volta che ci incontriamo amiamo ricordare con nostalgia e sorridere su questo simpatico avvenimento.