Tonino Cera

San Marco in Lamis, domenica 25 febbraio 2018 - A rimorchio delle tante discussioni (e polemiche) sul tragitto di questa antichissima e notissima arteria, propongo un mio (datato) studio - qui compresso e sistemato alla buona ma ben chiaro nell’approfondimento degli eventi - perché consono alla questione di fondo oggi (tardivamente) venuta alla luce e ai risvolti che in prospettiva interessano amministratori e comunità sammarchese.

 Strada che senza alcun dubbio appartiene storicamente e culturalmente alla nostra cittadina, ma su cui occorre fare opportuna CHIAREZZA in più direzioni. A questo proposito anticipo che il suo percorso, non certo ad esclusivo uso del pellegrinaggio, era montano e non vallivo, e la qualcosa NULLA SOTTRAE alla nostra cittadina. Le nostre radici e peculiarità sono state nel tempo ricercate e interpretate dai nostri studiosi, il lavoro è stato enorme, tuttavia talvolta si tratta di riesaminare questioni di fondo nella consapevolezza che i racconti della storia non hanno quasi mai nulla di esaustivo. Prima dell’esposizione dell’argomento (lo scritto diviso in due parti è un po’ lungo, ma chi non legge non ha voglia di imparare) è necessario ritornare brevemente su fatti che sono stati richiamati altrove e che ruotano attorno al nostro tema. CONSIDERAZIONI GENERALI SUL PRESUNTO TRAGITTO NELLA VALLE DI STIGNANO : Il tracciato della Francesca, introdotto con questo nome nel nostro territorio nel periodo bizantino (1030) - il feudo all’epoca comprendeva diversi “comuni” tra cui San Giovanni Rotondo - a seguito di nuove acquisizioni fondiarie e poi talvolta entrato negli atti pubblici con il termine “strada francesca o via pubblica” nei tratti secondari, già in epoca romana doveva consentire il collegamento di aree lontane e la migrazione stagionale degli armenti. Durante il Basso Medioevo per l’aumento della popolazione garganica e della mobilità accolse sul suo tracciato di tutto, dai commerci al servizio postale, e in questa logica si deve portare avanti lo studio del grande patrimonio socio-culturale legato a questa viabilità …… Il suo tragitto per la parte a ovest della nostra cittadina era montano e non vallivo, come vedremo.

Non così la quasi totalità degli studiosi, che hanno accolto acriticamente l’indirizzo degli autori del passato che vogliono questa strada inerpicarsi nella strettoia di Stignano, ora anche con il fragoroso e antistorico nome di Via Sacra Langobardorum, al servizio del pellegrinaggio. In effetti la strada Francesca, che si ritrova più volte in diverse aree della Capitanata dal Medioevo fino al Seicento e riconoscibile già da Troia, è stata in tempi recenti associata con la benevola correità di più di uno storico ad un percorso di fede. Niente di male, perché con questa “anomala” ed esclusiva finalità - con il suo nome reinventato in Via Sacra - se ne voleva di certo sottolineare l’importanza. Purtroppo l’innocua sottigliezza di ieri sembra essere diventata un dilettevole passatempo di congressisti, se non di scempiaggine quando sul suo presunto (falso) percorso, la SS272, viene persino analizzata l’indice di “turisticità” garganica con le cifre dei visitatori. La proposta degli studiosi sul tragitto dell’antica strada di cui si è ritenuto di sapere tutto, in realtà dimostra che non conosciamo niente ….. ……. Per l’età medievale nessuna fonte storica o memoria scritta testimonia o lascia intendere un (abituale) passaggio di persone attraverso la valle di Stignano. Così come nessun percorso interno alla valle ha mai portato il nome “Francesca”. La prima occasione per noi per testare il tracciato vallivo si ha nella seconda metà del Cinquecento con la nascita dei conventi di S.Maria e di S. Matteo grazie al soggiorno di un pellegrino francescano.

Ancora di più. Gli itinerari devozionali documentati per Monte Sant’Angelo a partire dal IX secolo prevedevano percorsi che, a seconda i casi, attraversavano le cittadine di Troia, Foggia, San Severo, Lucera, Siponto, Manfredonia e altre minori. In tre date specifiche (le uniche note), nel 1431, nel 1463 e nel 1525 si menzionano per i viaggi di ritorno da Monte il borgo di San Giovanni Rotondo, e a seguire altre località tra cui San Vito alla radice della montagna sangiovannese. Non sono ricordati il monastero di S. Giovanni in Lamis, San Marco in Lamis e la valle di Stignano, esclusi dal racconto semplicemente perché NON raggiunti dall’itinerario ............ ...... Gli odierni scritti tendono a escludere dalla topografia il nome della strada Francesca a vantaggio della “Via Sacra Langobardorum”: abbiamo quindi il paradosso di una strada Francesca di cui si è perduta la memoria a beneficio di una strada storicamente inesistente. Qui si propone di recuperare l’identità di questa e di altre antiche strade, e con esse le testimonianze che si sono avvicendate lungo i loro percorsi, vale a dire borghi, stazioni di posta, monasteri, sentieri di transumanza, casali, fondaci, chiesuole, eremi, grotte abitate, tratturi, sorgive, paesaggi e quant’altro venga ancora in mente. Ciò significa anche riprenderci razionalmente la storia e non studiarla come episodi tra loro staccati e senza alcun collegamento. Storia ancora in buona parte da scrivere nell’ottica di un utilizzo anche turistico dei tracciati viari antichi, come meglio si possa fare …... …… Ancora una nota.

Si arriva in un luogo solo se esiste un modo sicuro per arrivarvi. Storicamente è dimostrato che in una certa epoca i tracciati viari sono risultati più stabili nelle zone collinari e di montagna. Gli insediamenti in altura, sorti in coincidenza con le ripetute invasioni barbariche, hanno finito per incidere profondamente sull’andamento della viabilità che in gran parte venne trasferita dal piano al monte. Gli esempi più eclatanti documentati non mancano, e si vedano a questo proposito gli abitati di Castel Pagano, Castel Bizzano e Monte Sant’Angelo sorti lungo la dorsale garganica ............ Col padre Manicone voglio inoltre ribadire gli aspetti che caratterizzavano il percorso di fondovalle di Stignano così come si presentava appena duecento anni or sono, cammino che dal convento raggiungeva San Marco attraverso un percorso tortuoso risalente un dislivello di 250 metri: “…La strada che oggigiorno si calca è fabbricata alla falda dell’eccelsa e aspra montagna esposta al Sud. Essa ha delle serpentine direzioni, giacché né piani inclinati, come detto abbiamo, tali direzioni sfuggir non si possono. In parecchi tratti ha delle ripide e sdrucciolevoli discese, e in parecchi altri è affatto orizzontale. Essendo il canale della profonda Valle di Stignano da due lunghe ed erte montagne contenuto, perciò il profondissimo dirupo alla sinistra fa veramente del raccapriccio in certi luoghi, né quali formar dovrebbonsi dè ripari. In certi siti essendo essa fatta in terreno argilloso, è perciò di poca durata…”.

Di questo percorso anche il sindaco Giuliani ne parlerà in termini del tutto negativi. Qui si evidenzia un cammino (mulattiera) appena abbozzato e senza la possibilità di passaggio di carri, pericoloso e impraticabile in ambienti ristretti, scolo naturale delle acque meteoriche e sottomesso a ogni genere di calamità naturale ….. Mille anni fa anche i luoghi circostanti il monastero di S. Giovanni in Lamis si presentavano come un’impenetrabile boscaglia ancora poco adatti a uno stabile insediamento umano …… Per quanto riguarda il pellegrinaggio …… che il cenobio si ergesse a cavaliere di brevi percorsi che godevano di grande significato locale è provato dai documenti. Che il cenobio (in parte pensato ma in grandissima parte ancora da costruire) potesse essere rilevante come punto di convergenza di frotte di pellegrini mi sembra una storia quantomeno inverosimile se non illogica sotto ogni punto di vista. In considerazione di tanto, quanto grande sia stata l’importanza della strada Francesca per il Gargano lo si deve anche alla notorietà raggiunta dal nostro monastero, ma ciò è stato possibile solo dopo i fortunati successi che lo misero nel XII secolo al centro della vita religiosa ed economica non solo del Gargano ma di una più vasta regione. Per quanto riguarda ancora la strada Francesca, che in definitiva altro non era che un “luogo” funzionale allo spostamento di uomini e di merci e quindi punto di incontro di idee e di culture diverse, essa viene documentata nelle nostre zone ancora in tempi moderni: nel 1650, in un disegno che riproduce il convento domenicano della Vergine del SS. Rosario in San Giovanni Rotondo, la si nomina in relazione al tratto che corrisponde all’odierno corso Europa. STRADA FRANCESCA, LA DOCUMENTAZIONE SCRITTA : Ieri come oggi la topografia storica lascia aperti molti problemi, ma nuove riletture sono sempre possibili quando si ha l’occasione di una continua disponibilità di documenti …… nuove risorse che ci consentono di rettificare precedenti errori di localizzazione. È opportuno quindi prendere in esame due documenti che fanno riferimento alla confinazione in pianura del feudo del nostro monastero: il privilegio del catapano Xifea del marzo 1007, e quello di Boiannes che si fa risalire, con qualche dubbio, al 1030.

Si tratta nello specifico di fare chiarezza su due nomi, l’uno di chiara derivazione greca l’altro di radice latina. Mi sforzerò di essere più chiaro che sia possibile. Veniamo alla prima concessione e all’individuazione della zona che ci interessa, il tratto che dal monte Condizzo (nei pressi di Rignano) porta al pianoro del Sambuco o Sambuchello, zona in altura poco a ovest di San Marco in Lamis. Per quest’area, così è stato scritto nel 1007 dall’estensore del documento: “… et ferit ad montem condizzi, et vadit ad camardellum, et ascendit ad arborem carli, et vadit ad cisternam leocaralli, et vadit ad caput alvile, usque ad ramun sambuci…”. Per i suoi limiti geografici si è riconosciuto il Monte Condizzo attraverso cartografie dei secoli XVIII e XIX con un rilievo poco a nord di Rignano, e il successivo nome camardellum (Camardella) una località da dover circoscrivere per prossimità e “affinità di significato” alla Coppa Casarinelli o alla specifica contrada Casarinelli in San Marco in Lamis. Per naturale continuità di localizzazione, i luoghi che seguono sono stati posti in un contesto corrispondente al limite del versante meridionale di Stignano prima dello sconfinamento, oltre la valle stessa, verso la località “Sambuci”.

Sulla base delle fonti disponibili, e anche con qualche evidente forzatura (ad esempio, dalla quota di Coppa Casarinelli si saliva inverosimilmente verso un più alto arborem carli) l’ipotesi, non proprio convincente, si reggeva in realtà con molti dubbi. Ora, per sciogliere del tutto i nodi di questa lettura occorre rimuovere alcuni equivoci di fondo dando la giusta accezione ai toponimi, e per fare ciò necessita una breve premessa. Per i catapani (governatori bizantini) che si succedettero nei primi decenni del Mille il problema principale era ancora rappresentato dai Longobardi. In conseguenza di ciò saranno riportate in vita o innalzate alcune cittadine (castra) verso il Subappennino daunio, fulcro poi del loro sistema militare a difesa della Capitanata …… Per difendere il Tavoliere dal vicino ducato di Benevento i condottieri di Bisanzio, per la loro strategia sul campo di battaglia non mancarono di affidarsi a una visione più ampia e moderna. Accanto alle linee di difesa statica e concentrata tra gli insediamenti di altura e le città costiere, venne predisposta una fitta rete di torri e torricelle cui si aggiunsero ulteriori spiegamenti di uomini dati da postazioni mobili. Tra questi presidi leggeri, elastici e duttili rientrava la “camarda”, propriamente “grande tenda arcuata” e più estesamente cittadella militare, un accampamento di piccola dimensione che consentiva ai soldati di estendere il controllo su determinate aree senza per questo dare vita a un centro fortificato in pianta stabile ……. ……

La camarda è un termine militaresco di origine greca che non si è evoluto, e infatti è ancora presente con poche varianti grafiche in diverse località dell’Italia centro-meridionale, inclusa la Capitanata naturalmente. Nell’atlante di Antonio di Michele di fine Seicento, ad esempio, compare a sud di Candela Posta di Camarda, collocata nell’omonima locatione Masseria del Catapano, ma il toponimo è ricorrente ancora nei documenti del Cinquecento. In questi luoghi, che possiamo estendere ai vicini abitati di Ascoli Satriano, Melfi e Bovino, le truppe imperiali combatterono più di una battaglia. Sciolto il suo significato, per la localizzazione di Camardella (Camardellum nel 1007 e, con un cambio di desinenza, Camardellas nel documento dell’anno seguente) dobbiamo spostarci verso un’area lontana da quella di Casarinelli, e ci sostiene in proposito un cabreo o meglio una Pianta topografica della locazione e demanio di Apricena ed una parte del feudo di Castelpagano curata dal perito agrimensore Basilio Palmieri di San Giovanni Rotondo e rintracciata presso l’Archivio statale di Napoli. La cartina acquerellata (1818 circa) oltre a offrire la delineazione del territorio apricenese attraverso un buon disegno grafico e con precisazioni e note in legenda che dettagliano i confinanti feudi e demani, riporta sedimi di origine medievale e propone qualche toponimo straordinariamente suggestivo specie verso l’ambito montano non lontano da Castel Pagano.

Il lavoro del Palmieri ci consente pertanto di rilevare toponimi in disuso e tra questi la grafia “Camarda”, nome localizzato dalle passate e odierne I.G.M.I. poco a est di San Nicandro ma in realtà comprensivo di una più vasta area. La località in questione si colloca infatti lungo una fascia di terreni all’interno dei primi rilievi garganici, e precisamente verso i tavolati facenti ora capo al comune di Apricena e individuabili con i luoghi di Pontone Longo e Cardalicchio poco a nord di Castel Pagano, non molto distanti dalla dolina di Pozzatina che troviamo poco a est. La quota del terreno si attesta mediamente sui 500 mt. con pendenze dell’ordine di 3/4 punti percentuali. In quest’area un tempo era stata dunque una camarda. La posizione della località, non lontano dal passo dell’Ingarano, fa pensare a un distaccamento di fanti e forse di cavalleria con una propria autonomia logistica a presidio del sistema viario dell’epoca, e in naturale rapporto strategico con una primitiva fortificazione sulla vicina altura-vedetta di Castel Pagano.

Si può infatti prevedere che un comandante militare non rinunciasse a una postazione in vetta al monte in grado di controllare i movimenti nelle varie direzioni. Su questo picco è pertanto più che convincente (e in parte provato) un importante antecedente bizantino prima della costituzione, cinquant’anni dopo, della contea normanna del Gargano di cui il castrum Pagani farà parte con un primo nucleo ricordato nel 1095 unitamente al nome del castelliere. …… Si può ritenere l’altura castelpaganese nel 1007 entro i confini di S. Giovanni in Lamis ma poi sottratta alla soggezione dei monaci (per passare alla contea di Monte Sant’Angelo) forse dopo la battaglia di Civitate del 1053 che aprì le porte del meridione d’Italia ai Normanni……. ……. Per ritornare ai possedimenti del monastero, ciò che ne restava nei tempi moderni tra la pianura del Tavoliere e la fascia pedecollinare viene riportato in una platea seicentesca: “nel territorio di Castelpagano [la badia] tiene una masseria di campo nomata la Cercole con mezzana di carra due, arborata di perazza, con pozzi, con portata di versure duecento a coltura in circa”, e più a nord nella località “Ancarano nel territorio dell’Apricena tiene un pezzo di terreno seminatorio versure sette”. Si tratta in effetti di uno dei primi nuclei di possedimenti benedettini probabilmente consolidato con una grancia che a distanza di circa sette secoli appare ancora organico.

Ex bene ecclesiastico dal 1798, la Portata delle Cercole (ora Mezzana della Quercia) prima nella disponibilità dei cittadini di San Marco, tre decenni più tardi sarà venduta a Brengola don Giuseppe …… Fin qui i risvolti del primo documento, dal toponimo Camardella alla perizia di Basilio Palmieri, fino ai possedimenti badiali tenuti ancora in tempi recenti. Veniamo al secondo documento datato al 1030, che rendiconta più dettagliatamente il percorso piuttosto tortuoso dei confini monastici e accoglie per la prima volta il nome della STRADA FRANCESCA garganica. Questa è la parte del testo che interessa: “…et vadit per ipsam viam ad locum qui dicitur troiclum in flumine, et ascendit per ipsum flumen ad locum ubi est conversio fluminis ubi petre fixe sunt et retro tramite vadit ad locum qui dicitur profica, et retro tramite vadit ad stratam francescam, et hoc itinere vadit ad montem qui dicitur Castellum, et de ipso monte vadit ad locum qui dicitur oculum ad covimum de sambuco …”. Vale a dire, da est (locum qui dicitur troiclum) si va verso ovest (locum qui dicitur oculum ad covimum de sambuco), in sostanza dalla pianura alla montagna …… Questo documento, dopo quelli del 1007 e del 1029, è assai importante perché ci permette di assistere con più accuratezza al consolidarsi in precisa corrispondenza con la fascia pedecollinare di un ampio e coeso possedimento che trasformò i benedettini in veri imprenditori agricoli.

La consistenza dei beni pedemontani è riportata con più grande precisione, ma forse non è di tantissimo più estesa di quella del 1007 giacché si parte dai beni in pianura in corrispondenza con il Triolo, corso d’acqua sottostante l’abitato Rignano che si immette nel Candelaro, per arrivare sempre verso un’area a nord-est di Apricena. Includerebbe quindi una lunga ed estesa striscia piana che segue per un buon tratto il corso del fiume maggiore per poi deviare verso la montagna - oltre Posta Monica e verso l’attuale stazione ferroviaria di Apricena fino al passo Ingarano - e giungere in salita a Monte Castello. Molto interessante in generale, questo diploma lo è di più per la zona che trattiamo, e pertanto volgiamo subito la nostra attenzione a un toponimo inusuale, il locum qui dicitur profica, che per la sua posizione conduceva alla strada Francesca …… ……. Di sicuro il toponimo è da considerarsi come uno dei primi riferimenti inerenti i luoghi che stiamo trattando, ed è certamente di origine latina: attraverso una trafila semantica è possibile poterlo identificare (rimosso il prefisso) con il termine cavità, grotte, che non mancano nell’area a contatto con la montagna. E in tal modo è talvolta inteso in altre aree geografiche, ad esempio il Salento, ma è da dire che lo stesso toponimo figura anche nel tratto pedemontano del Gargano settentrionale con il monastero di S. Nicola di Profica donato dagli abitanti di Ripalta nel 1055 all’abate di S. Giovanni in Piano.

Anche questo nome è presente a distanza di secoli nella pianta dell’agrimensore Basilio Palmieri, sia pure con le diciture “Grotti della Fica e Canale della Fica” in prossimità del già citato Camardella: “Camarda, o sia Canale della Fica”. In una prospettiva più generale, possiamo dire che fin da subito l’interesse del monastero si è manifestata in maniera privilegiata verso la quota di pianura a est di Apricena, focalizzandosi in particolare fino alle prossimità del Passo dell’Ingarano (a contatto quindi con le aree di Camardella e di Profica) che, come la stessa espressione suggerisce, altro non è che un passaggio di risalita verso la montagna. Quest’area ad uso dei grancieri benedettini fu, lo ripetiamo, nella disponibilità della comunità sammarchese fino al Settecento per poi essere ripartita (non sappiamo come e quando) fra il comune di Apricena e quello di Sannicandro a mezzo di sassi scritti. Per individuare i fondi legati a S. Giovanni in Lamis e ricostruirne la storia, altro punto di riferimento inevitabile è l’eco che di essi si ha nelle carte delle concessioni normanne. Saltando la conferma di Enrico (1095) che per quest’area ripete pedissequamente quanto si legge nella concessione bizantina del 1030, il primo documento che testimonia il collegamento è l’atto di donazione del 1134 fatto da Ruggero II. A questa data, infatti, erano compresi i casali di Sant’Andrea, Santo Stefano e San Pietro Vecchio (Veterano) ricordati con le rispettive e omonime chiese. Notiamo anche che le donazioni, oltre ad avere come oggetto i fondi comprendevano strutture edilizie e interi casolari a riprova dell’intento dei monaci di conseguire in quest’area una presenza duratura i cui effetti potessero essere subito avvertiti. L’ulteriore acquisizione di beni nei pressi di un sistema viario fondamentale per la Capitanata offre la riprova più puntuale di questo indirizzo ……

Altre proprietà di cui cogliamo l’importante genesi erano quelle che poi saranno legate al fondo Cercole, in seguito masseria Quercia, e al fondo Belvedere più a ovest di qualche chilometro, ricordate molto tempo dopo anche perché dichiarate ex feudali unitamente alle terre di Ingarano dal ripartitore regio nel 1810. Anche se non si ha notizia di interventi operati dai benedettini, siamo nel bel mezzo di campi arativi ancora oggi noti per la buona produttività …… ……. Vorrei a questo punto proporre la traduzione del passo del documento del 1030 innanzi riportato in latino che ricorda per la prima volta la STRADA FRANCESCA, la quale incontrava il confine monastico per due volte (sia nel tratto di ascesa al Gargano e sia nel tratto orientale presso l’area di San Giovanni Rotondo). Nel suo tragitto iniziale precede questa indicazione un percorso tortuoso che scendeva dal Monte della Guardia, raggiungeva il fiume Candelaro e poi si allungava nella pianura verso i campi di Ischia (dell’Abate) e di Coppa del Vento, proprietà del monastero ricordate con questi stessi nomi nei secoli seguenti. Da quest’area si continuava verso alcuni pozzi posti lungo una via e quindi “… per la stessa via si vada fino al fiume Triolo e si risalga lo stesso fino alla sua inversione [forse dove tutt’ora confluisce nel Venolo] dove ci sono pietre fisse [i cippi già ricordati] e si VADA quindi alla località Profica e POI SI VADA [retro tramite vadit] ALLA STRADA FRANCESCA E PER QUESTO ITINERARIO SI VADA AL MONTE DETTO CASTELLO [et hoc itinere vadit ad montem qui dicitur Castellum] e da qui ALLA LOCALITA’ [VADO] DELL’OCCHIO E AL COTINO DI SAMBUCO” ……. NON C’E’ DUBBIO CHE SIAMO IN PRESENZA DI UN PERCORSO IN ALTURA. ……. Ricordando inoltre la localizzazione precisa dei toponimi Camardella e Profica, credo NON VI SIANO motivi validi che possano indurci a credere che la strada Francesca deviasse per la valle di Stignano nel risalire il Gargano. Appare indubitabile che il suo percorso fosse montano e non vallivo. Dalla piana del Sambuco la Francesca giungeva nei pressi della valle sammarchese (il villaggio non ancora esisteva) in cui poteva confluire dalle parti dell’odierno rione di S. Berardino/Porta San Severo, oppure (siamo sempre nel campo delle ipotesi) sovrastarla rasentando il monastero dopo l’attraversamento sempre in altura dell’area di Santa Loia. Proseguiva poi verso l’odierna San Giovanni Rotondo con un percorso forse in piano (se facciamo riferimento a documenti successivi) che continuava fino a Monte Sant’Angelo. A mio parere la gravitazione dei benedettini nella zona del passo dell’Ingarano, nome prediale romano, una fascia piana al limite nord del Tavoliere dove iniziano i primi rilievi del pedemonte, venne determinata proprio dall’opportunità data dalla posizione del luogo inserito nello snodo delle linee di comunicazioni che, ricalcando in buona parte l’antica rete viaria romana, favoriva il collegamento tra l’ovest del Tavoliere e l’interno del Promontorio fino a raggiungere il versante opposto affacciato sul mare.

Allorché si ampliò la trama insediativa montana e la vitalità economica, l’aumento della misura dei traffici e degli spostamenti fece lievitare anche l’importanza della mobilità lungo la strada Francesca ……. …… Un paio di decenni dopo le acquisizioni del 1030, poco più oltre estenderanno la loro influenza i monaci di S. Giovanni in Piano che nel 1077 guadagneranno anche l’odierna Apricena. Nell’Inventarium omnium bonorum stabilium venerabilis monasterii Sancti Johannis in Plano (estratti del 1421, e proposti da M. A. Fiore in Benedectina, XX, 1973) vengono individuati per questo monastero i terreni verso santo Petro Vetrano che lambivano la "via vetere que dicitur francesca que venit per ipsum Ancaranum et pergit [continua] ad ipsam murgiam", cioè collina. Un fondo era inoltre localizzato "iuxta vallonem magnum castelli pagani juxta viam publicam que dicitur francesca". Oltre queste ultime indicazioni sulla Francesca - CHE HANNO FORSE INGENERATO CONFUSIONE NEGLI STORICI - quanto leggiamo significa soltanto che la STRADA FRANCESCA ALL’ALTEZZA DELL’INGARANO SI BIFORCAVA IN DUE RAMI: l’uno in salita diretto verso l’area di Castel Pagano per proseguire lungo la dorsale garganica fino alla valle sammarchese e Monte Sant’Angelo; l’altro segmento, quello principale, continuava invece in direzione di Siponto.

A riprova, la strada Francesca la ritroviamo infatti in un documento del 1201 come confine di una proprietà di S. Leonardo in località Tressanti, non a caso indicata come "strada francigena maggiore" a distinguerla dai rami minori. Già questo particolare fa intendere che la strada Francesca (altrimenti detta Francigena e all’occorrenza strada peregrinorum) in realtà NON ERA UNA VIA CON UNA PROPRIA DIGNITA’ ma piuttosto, come già messo in evidenza da tempo dagli studiosi ma ignorato dai più, una rete di cammini o se si vuole di canali di comunicazione che spesso si identificavano per lunghissimi tratti con le antiche vie consolari, assimilabili alle odierne strade statali o provinciali, all’epoca individuabili grazie alle località che attraversavano. Sul tracciato transitava naturalmente di tutto: persone, merci, pellegrini. Per quanto riguarda la filiera economica benedettina, finalizzata di certo al loro sostentamento ma anche alla commercializzazione di prodotti pregiati come l’olio, il vino, le castagne e il grano, essa doveva necessariamente avvalersi oltre che delle grance anche di strade SICURE e SCORREVOLI, come la nostra strada Francesca.

Sembra chiaro che il processo di sviluppo e di crescita di S. Giovanni in Lamis (e poi anche di San Marco e del territorio limitrofo) abbia beneficiato dell’andamento e dell’impalcatura di questa antichissima strada la cui percorrenza garganica, per lo più in linea retta, era all’incirca di cinquanta chilometri. Per concludere. Oltre quanto si è detto non esiste altra documentazione scritta, testimonianza archeologica o tradizione antica di qualsiasi genere che parli della strada Francesca e del suo percorso nelle nostre zone. Questo perché, oltretutto, la strada Francesca, locuzione oggi di grande impatto e attrazione quando richiamata localmente, ma talvolta stucchevole per l’uso che se ne fa, era all’epoca una delle innumerevoli strade, vie, diverticoli e tratturi che si intrecciavano in tanta parte dell’Italia. Ancora nei documenti bizantini del nostro monastero, calcate dai nostri avi e ricordate fin dal primo decennio del Mille ritroviamo i nomi ben più attraenti di vie locali. (Romano Starace)