Antonio Del Vecchio
Rignano Garganico, venerdì 5 gennaio 2018 - Come accadde per il primo aeroplano che sorvolò il paese subito dopo la I Guerra Mondiale, così anche la luce elettrica fu accolta con grande meraviglia e giubilo, a Rignano Garganico. Nel primo caso si trattò di un idroplano in servizio presso la Aerostazione di San Nicola (Laguna di Varano), allora diretta per breve tempo dall’ammiraglio Thaon de Revel. L’oggetto misterioso fu battezzato subito dal popolo minuto col nome storpiato di “Ariochiane” (storia orale), mentre i primi lampioni alimentati con la corrente elettrica furono denominati “lùcia ghianche” (luce bianca), per via del suo effetto splendente.
La corrente elettrica di provenienza idroelettrica, cioè trasportata dalle centrali fuori - regione, grazie a chilometri e chilometri di cavi di rame sorretti da pali, approdò a Rignano, come nel resto del Gargano, verso la metà degli anni ’30 (grazie ad amministratori lungimiranti, come il podestà Antonio Cappelli (uomo di scuola), Michele Draisci (farmacista) e gli altri che si susseguirono. Precedentemente, altrove, si sperimentavano marchingegni di produzione termoelettrica. Nel contempo vi arrivò anche l’acqua corrente, grazie all’Acquedotto Pugliese, con l’istallazione di fontane pubbliche nei luoghi strategici del piccolo centro, allora arroccato del tutto nel borgo antico di origine e fattura medievale. L’allacciamento privato, come pure la rete fognaria sarà realizzata solo nel dopo-guerra (1947), come si evince dai coperchi in ghisa dei tombini, firmati “Putignano”. L’energia elettrica, oltre ad ‘illuminare’, servì anche per lo sviluppo di aziende di tipo industriale, come i mulini per la tritatura del grano, frantoi per la molature delle olive e segherie.
A Rignano paese erano in funzione, alimentati da siffatta energia, due mulini e una falegnameria con sega elettrica. Ritornando al tema dell’illuminazione pubblica del paese, prima dell’elettricità la stessa veniva fornita dai cosiddetti ‘fanali (lampioni), alimentati in ordine cronologico – temporale, con petrolio, olio minerale e acetilene, con l’inconveniente di luce fioca e di spegnimentio continuo a causa del vento che qui spira quasi tutti i giorni dell’anno. Riguardo alla predetta illuminazione, la più antica delibera di appalto che si conosce risale al 9 dicembre 1904 . allorché il servizio fu affidato con contratto a trattativa privata a Domenico Fania, forse lo stesso capo-lega dei braccianti che partecipò ai tumulti del 10 e 11 marzo dello stesso anno, di cui si è già scritto ampiamente. A deciderlo fu l’esecutivo con l’assenso di Matteo Sollazzo, sindaco dal 29 giugno del m.a. e dell’assessore ordinario Giuseppantonio Bergantino, da poco subentrato a Francesco Paolo Tardio. La fornitura – gestione consisteva in 20 ‘fanali’ numerati collocati nei punti strategici della cittadina, a cominciare dal l centralissimo Corso Giannone, luogo di ritrovo e di passeggio per antonomasia.
Il tutto fu concesso per la durata di cinque anni, con l’osservanza di una serie di obblighi. In primo luogo, quello di assicurarne il perfetto funzionamento dall’imbrunire all’alba. Cosa quest’ultima, a quanto accennato, assai difficile,data la situazione orografica e ‘scoperta’ del paese, soggetto ad essere battuto da ogni tipo di vento . Gli altri obblighi comprendevano: la costante pulitura degli stessi, quella degli accessori; i ricambi e le sostituzioni; la materia prima; l’osservanza dell’orario di accensione, ecc. Comunque sia, il numero dei punti luci erano insufficienti.
Per cui parecchie zone della cittadina rimanevano ‘oscurate’. Per cui i cittadini per attraversare le strade si avvalevano di lampàre ad olio e più spesso di tizzoni ardenti. In proposito si racconta che Giuseppe (nome di fantasia), marito assai geloso per verificare che la moglie Lucia (anche questo inventato), fornaia, gli fosse fedele (a quei tempi i forni funzionavano durante la notte, per assicurare pane di giornata alle campagne, allora intensivamente abitate) la seguì nel suo solito percorso e a un certo punto, la trasse a sé sotto un arco e approfittando dell’oscurità, la baciò a dovere, senza che la donna si ribellasse. Quando la mattina seguente, ella rientrò a casa, l’uomo cercò in ogni modo di farsi confessare l’accaduto. Ma lei all’inizio negò, ma poi non riuscendo a sopportare l’interrogatorio, che pareva da quarto grado, le scappò di dire ad un tratto: ecco perché mi piaceva tanto, eri proprio tu!”