Antonio Del Vecchio

Rignano garganico, giovedì 14 dicembre 2017 -  Si è ripetuta pari pari per la seconda volta e con grande commozione la grande e partecipata festa in onore di Santa Lucia,  a Rignano Garganico. Il tutto ha avuto come meta privilegiata la Chiesa Matrice “Maria SS. Assunta”, ubicata nel cuore del centro storico di origine e fattura medievale. Si è cominciato, alle ore 18.00, con la Santa .Messa cantata, officiata dal parroco Don Santino Di Biase e dal vice, Don Antonio Gianfelice. Nell’omelia il primo ha ricordato i passi salienti della vita della santa ed evidenziato, tra l’altro,  le virtù miracolose  d’intercessione relative alla vista.

 Lo stesso discorso è stato ribadito nel corso di una lunga e articolata preghiera recitata, assieme ai devoti, davanti alla vicina statua della Santa, addobbata a festa. Poco prima si era provveduto alla benedizione delle “fave” cotte o arricciate, riprendendo un’antica e radicata tradizione, servite alla fine dell’intensa e commovente cerimonia religiosa davanti all’uscio del tempio . A quanto appreso, l’alimento in parola è stato cucinato in precedenza col sistema tradizionale in tegami di creta e a lento fuoco da Ninetta e Celina, donne di casa assai legate alla parrocchia e ai suoi eventi religiosi e profani.

A servire si sono state loro stesse, facendoci assieme aiutare da Arcangela, Anna (si veda foto)  e Candida. Per saperne di più ed allargarne la conoscenza al popolo dei devoti di dentro e fuori del paese, riportiamo nuovamente il racconto su “Scia Vincenza”, pubblicato qualche giorno fa. <<Nei tempi andati, ad organizzare la “mangiata” del gustoso elemento, ci pensava “Scia’ Vincenza” (all’anagrafe Maria Vincenza), una donna tutta chiesa e prossimo. Essendo vedova e sola, da tempo occupava un “sottono” in Via Montarone, dove c’era e si trovava di tutto, dalla vecchia macchina da cucire“Singer” alla farmacia personale, dove conservava la siringa, i disinfettanti, le varie erbe medicinali, ecc. Nella strada che partiva dalle “Mura” e finiva al Purgatorio, abitavano decine e decine di famiglie, tutte numerose e povere.

Quando ti capitava un malanno, era lei a soccorrerti per prima, con un impacco, una tisana di fior di malva, camomilla,  alloro, ecc. Così pure, se volevi rabberciarti qualche vestito o cucire uno ex-novo da bambino. Chi scrive ne ricorda uno, quello alla zuava, di fustagno. Un pomeriggio la madre lo accompagnò. Lei prese le misure. E il giorno successivo l’abito fu pronto. Lo indossò subito, interessato com’era a piacersi e soprattutto a pavoneggiarsi tra i compagni, specie tra quelli più grandi o addirittura già giovani, che di questo tipo di vestito ne avevano fatto una vera e propria divisa. Scia’Vincenza, oltre ad assistere la mammana e le partorienti, era anche una provetta “foratrice” di orecchie. Tutte le mamme del paese portavano le loro figliolette ancora in fasce per sottoporle al martirio, che permetterà loro di infilare gli orecchini e farsi belle il domani.

Da annotare al riguardo un singolare episodio. Alcune ragazzette della porta accanto, seguendone l’esempio della donna, sperimentarono l’operazione sul fratellino in culla, avvalendosi di un grosso ed appuntito ago. Non l’avessero mai fatto! Il bambino per il dolore strepitava a più non posso, tanto da attirare in un baleno tutto l’intero “stradario”, compresa l’emulata, che provvidero subito a disinfettare l’orecchio del malcapitato e a calmarlo con il “papavero” (era l’unico analgesico del tempo). Come accennato, Scia’Vincenza era la prima ad andare alla chiesa del Purgatorio e l’ultima ad uscire, assieme a donna Lucietta Martucci, nipote del canonico don Pietro Ricci, primo maestro e confessore del giovane Padre Pio (si veda “Padre Pio e Rignano” di Angelo e Antonio Del Vecchio, 1 e. 2009, 2e. 2010). Erano loro ad organizzare la festa per Santa Lucia, su mandato di don Nicolino Martelli, gestore della cappella negli anni ‘50.

Lo facevano, promuovendo la novena preparatoria e provvedendo alla cottura delle fave, solitamente senza sale, e  alla loro distribuzione  il giorno della ricorrenza, a fine messa, nell’atrio. Qualche   giorno prima, come racconta Nunzia Mastrillo (classe 1920, vivente) in una intervista, contenuta nel v. Natale tra ieri ed oggi” di Angelo Capozzi e di chi scrive, Regione Puglia, 2000: <<… quando si arrivava nove giorni prima di Santa Lucia, qui c’era comare (nrd. Scia’) Vincenza, noi eravamo giovinette, che usciva e diceva: “Meh, noi dobbiamo far dire la novena! Meh, mettiamo una cosa ciascuno ché deve venire il sacerdote e dobbiamo far dire la novena di Santa Lucia!”. La novena si faceva nella chiesa, c’era il vicinato che partecipava, venivano dalla campagna e anche da più lontano. Si facevano i nove giorni.

Il decimo giorno si celebrava la messa, la mattina presto. Allora si cucinavano le fave, le fave arricciate . Con quelle si riempiva un bel recipiente di creta, dove si raffreddavano facilmente, e si portavano alla chiesa. Il sacerdote le benediceva e ognuno andava a prendersi, per la devozione, quelle che voleva.  E dovevi dire, prima di assaggiarle, l’Ave Maria. C’era un cucchiaio e ognuno ne prendeva quelle che voleva”. Secondo Nunzia, le fave erano una “espressione” della vista, degli occhi. “Su Santa Lucia – continua l’intervistata – conosco un po’ di canto”. Poi ella ci canta la canzone, assai famosa a quei tempi, che riportiamo di seguito solo l’ultima strofa: “… E mamma mi vuole fa’ una serafina / per andare a visitare Gesù Bambino…>>”. Su Santa Lucia,  se ne dicono di cotte e di crude. Quasi ogni paese  ha una leggenda o un particolare fatto miracoloso da raccontare. Quanto già scritto rientra nel filone delle tradizioni locali che vanno ravvivate. Altrimenti tutto muore e perdiamo l’amore-sapore delle nostre radici.