Antonio Del Vecchio

Rignano Garganico, lunedì 24 luglio 2017 - Fervono i preparativi per la celebrazione della giornata nazionale pro Grotta Paglicci 2017, promossa dal Circolo Culturale “Giulio Ricci”, d’intesa con Comune, Regione, Provincia e Parco e con il coinvolgimento del mondo associazionistico locale, inteso con il comune nome di “Amici di Paglicci”. La stessa vedrà lo svolgimento, con interventi appropriati, il 13 agosto, ore 18.00, presso accogliente Auditorium dell’ex-Chiesa del Purgatorio (struttura di recente restaurata), cuore del borgo antico medievale.

 

É la seconda edizione consecutiva. Lo scopo è di non far spegnere i riflettori dell’attenzione e di tenere costantemente il pubblico sempre aggiornato su questo bene culturale che il mondo intero invidia per la messe di dati che fornisce sulla vita dell’uomo primitivo più arcaico (Paleolitico Superiore, Medio e Inferiore). Anche questa volta si parlerà di un libro dedicato al tema. Ma il contenuto non sarà, come le scorse volte, costituito dal solito resoconto scientifico o comunicativo, ma addirittura da un racconto sostenuto dalle ali della fantasia e della creatività letteraria, a cominciare dal titolo ‘Il Tesoro’. Si tratta di una delle poche opere di questo genere di Arturo Palma di Cesnola, direttore per oltre trent’anni degli scavi archeologici presso l’anzidetto sito ed autore di una miriade di volumi e scritti scientifici al riguardo.

Per saperne di più riproponiamo di seguito la prefazione al riguardo messa su da chi scrive e dal figlio Angelo, entrambi giornalisti e da anni puntuali cronisti di ogni novità sull’argomento, nonché curatori del volume in menzione << Quello che si sta per leggere è una novella, anzi un racconto breve (come i critici letterari lo definiscono oggigiorno) con personaggi umani e contenuti verosimili, a differenza della fiaba, dove dominano gli animali ed altri attori fantastici. Altresì, i medesimi contenuti solitamente non sono né storici, né cronachistici, che dir si voglia, a differenza dei servizi e cronache giornalistiche. Tanto meno il racconto si presenta, come il romanzo, con azioni, personaggi e ambientazione intrigati e complessi.

La narrazione si snoda fuori dai risaputi canoni spazio - tempo. Per cui il linguaggio non è uniforme ed asettico come quello del parlato nazionale o online, ormai anglicizzato ai massimi livelli, senza più la freschezza e l’autenticità dello scritto di un Pirandello o di un Verga o la limpidezza e comprensibilità di un De Amicis o Manzoni. La stessa esprime i vari stati d’animo dell’autore con la lingua quotidiana del popolo, ossia il ‘toscano’, con l’uso di una terminologia che per alcuni versi sembra superata e lontana dal rapporto relazionale generale, ma che non lo è nell’ambito affettivo e famigliare. Ed è per questo che la lettura, grazie alle parole usate e allo stile raffinato che li contraddistingue, ad un certo punto s’intinge e si colora di poesia. Nel nostro caso il racconto ha due protagonisti, anzi uno solo, che ad un certo punto nei dialoghi che lo intersecano si sdoppia tra l’io (dentro) e l’altro (fuori), accomunati entrambi da una inestinguibile passione: la ricerca di quanto c’è o si troverebbe nel sottosuolo.

Ciò nonostante hanno caratteri e fisionomie ben diversi e in molti casi contrapposti. Il primo, di nome Klauss, è austro – tedesco. Uomo alquanto razionale, è preciso nel suo dire e nel suo fare le cose fino a sfociare nella pignoleria. L’altro, Carmine, incarna l’uomo tipico del Sud Italia con la sua passionalità e la praticità che gli è venuta dalla miseria in cui è vissuto. A renderlo furbo e combattivo sono state proprie le vicissitudini della vita. Ma la diversità tra i due consiste soprattutto nel fatto che Klauss affronta l’impresa sorretto da un ricco bagaglio conoscitivo fondato sulla scientificità; mentre l’altro, semianalfabeta, si avvale dell’intuito e soprattutto della sua maturata esperienza come cavapietre. Ed è, come questi, con i suoi tradizionali attrezzi e l’immancabile esplosivo, che è sempre pronto a far saltare qualche pezzo di roccia o ad allargare buche che gli permettano di scendere sempre più giù verso il sognato ed irraggiungibile tesoro nascosto dal fantomatico brigante “Abelardo”.

Insomma, per un buon cavatore, gli strumenti necessari per il lavoro, oltre alla dinamite, sono forza, coraggio e soprattutto una buona dose di esperienza. E il “nostro” possiede tutto questo. Da qui l’ammirazione di Klauss, che cerca con ogni mezzo di “addomesticarlo” e utilizzarlo pro ‘domo sua’, ossia convertendolo alla ragione e alla scienza. Per un po’ Carmine glielo fa credere, ma presto torna a quanto da tempo ha mentalmente pianificato. Peccato, però, perché il pover’uomo non avrà buona sorte: sarà arrestato, toccato dalla malattia, raggiunto dalla morte. Lo sconforto assale lo scienziato. Klaus piange lo sfortunato amico sconfitto non da lui, ma dal destino “baro”. L’epilogo riecheggia proprio tante novelle verghiane. Ma Carmine non è morto! Il cavapietre rivivrà nei suoi epigoni che continueranno a vivere, ad operare con la stessa mentalità e gli stessi modi del loro antenato e della gente del Sud. Immaginiamo, dunque, di stare accanto al caminetto a guardare la moltitudine di fiamme e fiammelle che sprizzano scoppiettanti dai tizzoni ardenti, mentre ascoltiamo dalla voce suadente dell’autore il racconto che segue. Buona lettura! Angelo e Antonio Del Vecchio>>