Antonio Del Vechhio
Rignano Garganico, lunedì 6 marzo 2017 - Ora che il ghetto non c’è più e i suoi abitanti trasferiti in quel di San Severo, la coscienza di molti rimorde. Lo si avverte per varie ragioni sia a livello di base che di vertici istituzionali. In primo luogo per non aver impedito l’incendio e con esso la perdita di due vite umane. Quindi, per aver tollerato il palese sfruttamento ad opera di caporali di tutte le specie. E ancor di più per non aver tentato il minimo sforzo per la loro integrazione nel territorio e nelle comunità del circondario. Lo sfruttamento e lo schiavismo esercitato su di essi era così forte da impedire ad essi stessi di liberarsi.
Non a caso allo sgombero, alcuni di essi si sono ribellati, abbrutiti come erano dalla fatica e dalla miseria quotidiana in cui erano costretti a vivere ed addirittura intravedevano in questa misera residenza, seppure sprovvista dei più elementari servizi, un pezzo della loro Africa. Un pezzo della loro patria lontana, dove poter conservare e praticare le loro tradizioni, il loro modo di vivere, senza contaminazione alcuna col mondo esterno. Forse la pensavano così, perché sin dall’inizio del loro arrivo in Italia sono stati discriminati e ghettizzati, a qualsiasi livello, compresi quelli che avevano l’obbligo di assisterli o dagli altri che sottoforma di un pseudo ‘pietismo’ strumentalizzavano le loro tristi condizioni per motivi di consensi di tipo ideologico e politico.
A questo punto il ragionamento sul luogo e il nome del Comune dove si trovano a vivere non conta più, quanto il loro futuro. Saranno bene accolti dalla popolazione, cesserà la brutta pratica del caporalato, sarà rispettata la loro dignità di uomini e soprattutto sarà garantita la sicurezza delle abitazioni e delle persone? Sono queste, dunque, le domande che in queste ore assillano i bene intenzionati, soprattutto dopo gli spari contro le forze dell’ordine avvenuti la notte scorsa a San Severo. Accogliamo anche noi di Rignano l’appello del sindaco Francesco Miglio e collaboriamo assieme agli altri centri ed istituzioni territoriali a far sì che questo grande problema assurto alle cronaca della stampa nazionale possa essere risolto con l’apporto fattivo di tutti a prescindere da ogni competenza formale, ma animati dall’obiettivo comune di far vivere gli immigrati come noi stessi, almeno questi che ora sono in Italia e ci vivono da un pezzo.
Ha fatto bene il Sindaco della città dell’Alto Tavoliere a fare lo sciopero della fame per non essere lasciato solo dalle autorità superiori e soprattutto per essere protetto. Perché non proporre da subito un incontro dei sindaci dei centri vicini nella sua città, in segno di solidarietà sì, ma anche per discutere e redigere un programma comune di interventi ed aiuti reciproci?