Mario Ciro Ciavarella Aurelio
San Marco in Lamis, venerdì 24 gennaio 2020 - Conoscendo persone nuove su facebook, scopro che molti non hanno l’amicizia con i mariti o le mogli(!?) Coniugi sì, ma amici no! Sembra che ci sia qualcosa che non quadri così tanto! Sarebbe come avere due conti correnti diversi, come quando si fa la spesa ognuno per sé. Non so quanti, ma nella vita reale è così: vivono da quasi separati in casa, ma non lo sono legalmente. In casi estremi uno ha bloccato l’altro/a su facebook, parliamo sempre di coniugi! Qualcosa mi sfugge!
In molti casi la privacy è diventata talmente privata che non deve essere nota assolutamente a nessuno, inclusi i figli e il coniuge. Così come quando vengono spediti esiti sanitari a tizio e ciao, e solo lui ha il diritto di aprire quella busta con gli esami e nessun’altra persona! Si vive sembra da soli, anche se si sta insieme sotto lo stesso tetto.
A questo punto non ci si confida più con nessuno: se non lo si fa con i famigliari più stretti, figuriamoci con gli amici. Oppure è il contrario: ci si fida più degli amici che dei parenti. Continua a sfuggirmi qualcosa. Qualcosa ci è sfuggito di mano negli ultimi due decenni! Il cono d’ombra si sta allargando da quando sono stati inventati i social: quel modo di vivere quasi completamente irreale, poco tangibile e anche pericoloso in alcuni casi.
Poi con l’avvento del telefonino, il cono d’ombra si è allargato alla massima potenza: è più larga la parte oscura delle nostre vite, di quella sotto il sole. Nel film “Perfetti sconosciuti” (2016) di Paolo Genovese, un film corale con parecchi attori protagonisti, assistiamo ad una resa dei conti tra alcune coppie. Si capisce che non tutti sanno tutto dell’altro. Anzi, sanno ben poco. In pratica sono degli sconosciuti che vivono insieme. Non si capisce il perchè vivano insieme.
Un circolo vizioso composto da alcune coppie che pensandoci bene, stanno insieme ma non lo sanno nemmeno loro il perché di quelle unioni ufficiali o quasi. Sono vite piene di bugie e segreti. Di dubbi, poche speranze, e noia mortale. Tutto questo lo sanno “singolarmente”, da soli. Ma quando stanno insieme, quelle coppie, sembrano che non abbiano nessun problema. Il mistero di quelle vite che vivono male è nei loro telefonini: è lì che bisogna andare ad investigare e capire il perchè tutti quei personaggi sono sconosciuti alle loro “dolci metà”
È nei telefonini (e nei computer) la vita parallela a quella reale, ma forse più reale di quella che vivono davanti agli occhi di tutti. Le maschere pirandelliane sono ormai compresse nei nostri telefonini: è lì che a volte nascondiamo la nostra reale natura, il telefonino come specchio dell’anima, e non più gli occhi.
Abbiamo bisogno più di una vita da vivere nello stesso momento, una sola sta diventando insufficiente. Quella socialmente visibile da tutti non ci soddisfa sempre, e allora cerchiamo alternative che possano darci più motivi per vivere meglio. Nel 2003 venne lanciato su internet “Second Life”, un mondo elettronico, virtuale e digitale, per accedere bisogna farlo attraverso un avatar tridimensionale, e vivere in un mondo informatico e falso.
Dove si può “socializzare” con altri internauti costruendosi una seconda vita fuori dalla realtà, usando anche le chat come si fa su facebook. Diventare un’altra persona e sposarsi virtualmente con chi si vuole. Non si vince nulla, ma solo la “felicità” di vivere come meglio si creda! Professando quello che vogliamo senza limiti e senza “leggi”: nessuno ti mette in carcere.
Come si può ben capire cerchiamo sempre una scappatoia o scorciatoia per vivere spesso in un modo che la realtà non riesce a darci come possibilità, nemmeno minima. Il telefonino, il computer con tutte le sue chat e “Second Life” ci spingono a credere che nell’ordine costituito dalla società qualcosa sia saltato. Come se ci fosse la sensazione che le vite degli altri siano più interessanti delle nostre (e viceversa).
Il bello è che a tutto questo non c’è rimedio. O se vogliamo trovarlo sarebbe bene spegnere tutto e ritornare almeno a trent’anni fa… quando di conti correnti in una famiglia ce n’era uno solo…
di Mario Ciro Ciavarella Aurelio