Mario Ciro Ciavarella Aurelio

San Marco in Lamis, venerdì 20 dicembre 2019 -  Anno Domini, 1173. Pisa. Gli operai si arrampicano per cercare di mettere mattone su mattone, per raggiungere l’altezza di 57 metri. Queste le intenzioni del progettista e dei tanti operai che ci mettono tutta l’anima   per raggiungere quell’altezza. Si lavora senza sosta: i lavori di una volta erano soprattutto dei patti tra dio e gli uomini, quando si dovevano costruire chiese e campanili. La gloria del signore doveva essere visibile: per convincere le genti a lodare il creatore. Atto di fede ed evangelizzazione.

Di pari passo va la storia dell’uomo con quella di dio: un patto bilaterale, ti do, e tu mi dai. Concretezza degli uomini e affabilità di dio si incontrano tra cielo e terra, dove si costruiscono cattedrali ad ampio respiro. Dove i fedeli possano credere ancor di più nell’infallibilità del creatore, nonostante il mistero che ci circonda! Ecco perché le chiese sono alte: per cercare di comprendere quello che in basso non è facilmente visibile, come il mistero dell’uomo.

I campanili hanno storia a parte: sono delle appendici delle chiese, e da lì si annuncia l’inizio della funzione religiosa, con campane che suonano a festa. Si richiamano i cuori ad unirsi in un solo posto, dove dio si presenterà anche se non sarà visibile, ma attraverso la penetrazione delle nostre anime da parte del suo messaggio di pace e speranza. Mistero della fede.  

Bonanno Pisano, ci ha messo l’anima nel progettare il campanile per la cattedrale di Santa Maria Assunta. Non poteva essere diversamente: le opere di una volta dedicate all’Alto dovevano essere perfette e durature.

Altrimenti cedeva prima di tutto la fede dei credenti e poi la reputazione dell’autore sarebbe caduta in disgrazia. Le pietre, il marmo e tutto il materiale usato per innalzarsi al cielo, dovevano essere di prima qualità, lo stesso dicasi del lavoro fatto dagli operai. Che spesso su quelle impalcature molto precarie, ci morivano.

Arrivati a metà dell’opera, il terreno sottostante la torre inizia a cedere. La costruzione vacilla, si adagia su un lato, di poco. I lavori vengono fermati. Bonanno Pisano pure si ferma. Non sa cosa fare. L’architetto tempo prima aveva inciso in latino su una pietra della sua fama eterna: “Mirificum qui certus opus condens statui unum, / Pisanus civis Bonannus nomine dicor” (Io che sicuro ho innalzato, fondandola, un’opera mirabile sopra ogni altra, sono il cittadino pisano chiamato Bonanno).

Vedendo vacillare il suo sogno, prese quella pietra e la scagliò lontano. Forse anche per nasconderla agli occhi del mondo: non voleva che si sapesse che non sarebbe riuscito a concludere i lavori della Torre di Pisa. Spesso i progetti di tutti si fermano, difficilmente riusciamo a portare a termine quelle che sono le nostre buone intenzioni.    

E così fu per Bonanno: lasciò tutto e i lavori per il campanile ripresero dopo cento anni! Non pochi. Cento anni per aspettare che la torre crollasse, pe poi rifarla da zero, ma non cadeva. Il progettista non c’era più da tempo, e i lavori ripresero sempre con la torre che pendeva. Il campanile venne terminato. E non cadde. Gli operai che terminarono i lavori vedevano quell’opera d’arte come un miracolo, come se dio volesse far sapere che la natura si inchina davanti a lui e non c’è pietra che tenga: anche le pietre rispettano la volontà dell’altissimo.

La durezza della pietra diventa materia che si può plasmare se dio vuole, può prendere forme inaspettate, tenere il peso di campane di tonnellate.  E gli uomini con gli sguardi all’insù!! Ad aspettare. Si sta aspettando da quasi mille anni, ma la torre ci guarda dall’alto. E Bonanno Pisano lo sa: si trova dove la verità è lì davanti a loro. E saprà anche quando crollerà. Ma se ne farà un’altra: i rintocchi delle campane non possono essere assenti. Altrimenti non sapremmo mai se c’è ancora vita.

 

Mario Ciro Ciavarella Aurelio