Mario Ciro Ciavarella Aurelio

San Marco in Lamis, lunedì 25 novembre 2019 -  Stavamo assistendo all’incontro di calcio Juventus-Inter in tv. Quando sul secondo canale della RAI trasmettevano solo il secondo tempo di una partita di calcio in differita della giornata calcistica. L’incontro finì 2-1 per la Juve (gol di Brady e Scirea per la Juve, e Ambu per l’Inter). Alle 19,34 esattamente di 39 anni fa (il 23 novembre) quasi tutto il Sud Italia si mosse. Come i televisori collegati a quella partita. 

E si mosse per un bel po’ di tempo: un terremoto del settimo grado della scala Mercalli scosse dalle fondamenta il Meridione. E da quel momento nel nostro Paese cambiarono tante cose. Prima di tutto venne istituita la Protezione Civile, e poi capimmo che la nostra Nazione non era così stabile, in senso geologico, anzi era abbastanza fragile, con faglie “ancora aperte”.

 E da allora gli italiani conobbero bene il concetto di prevenzione, quando si tratta di costruzioni edili. Fino ad allora non era concepibile che le abitazioni avessero dei sistemi anti-sismici. Il terremoto dell’Irpinia (dove ci fu l’epicentro) provocò quasi 3.000 morti, oltre 8.000 feriti e 280.000 sfollati. E anche a San Marco sentimmo la scossa, durò 90 secondi. Era una domenica di fine Novembre e l’aria non era fredda, nonostante l’inverno che stava arrivando. Il viale era (come sempre allora) pieno di gente, e molti passeggiando non si accorsero della forte scossa. Quando rientrarono in casa, furono informati su quella intensa e lunga scossa di terremoto.

 In questi casi ci si preoccupa subito di sapere dove c’è stato l’epicentro, e non era vicino a noi. Le notizie, quasi 40 anni fa, non correvano sul web come oggi, e per avere un quadro completo della situazione, si dovette aspettare la mattina dopo. Quando le prime troupe televisive raggiunsero i luoghi del disastro.

 Naturalmente a San Marco quella notte nessuno dormì, e se qualcuno riuscì a farlo, si arrangiò dentro delle automobili. Le scosse di assestamento non si fecero attendere, e per oltre un mese si fecero sentire eccome!!! Le scuole colpite dal terremoto vennero chiuse per qualche giorno, il tempo di capire se ci fossero stati dei danni. E tutti rimanemmo in attesa delle nuove scosse.

 Il giorno dopo si capì che la tragedia colpì soprattutto l’Irpinia, la Basilicata e quasi tutta la Campania: paesi letteralmente rasi al suolo, e sopravvissuti che cercavano di dare segni di vita da sotto le macerie, per giorni. A San Marco subito venne organizzata la macchina dei soccorsi, con alcuni volontari, come gli scout, che partirono per il paese di Teora (Avellino). Dove letteralmente scavarono per estrarre dei cadaveri dalle macerie.

 All’epoca non c’era assolutamente nulla di tutto quello che abbiamo adesso: internet, telefonini e tutto ciò che ognuno di noi ha nelle tasche e in casa. Ma c’erano i baracchini, delle ricetrasmittenti che cercavano di comunicare anche a migliaia di chilometri di distanza tra di loro. Uno di questi venne installato “int lu caforchie” di Sant’Antonio Abate, ma le comunicazioni, ricordo,  erano scarse o poco efficaci.

 Nella sede della Camera del Lavoro si riunì un comitato cittadino per raccogliere tutto ciò che potesse essere utile agli sfollati delle zone colpite dal terremoto: alimenti e vestiario. Il tutto caricato su dei camion per partire alla volta di Teora e Sant’Angelo dei Lombardi. Furono giorni di grande trepidazione, vivendo su un terreno “geologicamente incerto”, e cercare di capire cosa ne sarà di tutta quella gente alloggiata dentro delle tende e container. Iniziammo a capire, noi che siamo i figli del dopoguerra, cosa significa affrontare, anche se non in prima persona, una tragedia del genere.

 Capimmo in quel giorno di 39 anni fa, cosa potesse essere una trincea, dentro la quale, la vita ha il suo confine a pochi centimetri dalla morte, e gli uomini che cercano di evitare le brutture del Mondo. Capimmo che il Sud con tutti i problemi che aveva all’epoca, doveva ancora una volta cercare di reagire e andare avanti, il divario con il ricco Nord all’epoca era incolmabile. Capimmo che l’Italia era comunque una sola Nazione: tutti, da Nord a Sud, si dettero da fare per far giungere nelle zone terremotate, tutto l’occorrente per far superare quel trauma ai sopravvissuti.

 Capimmo che la nostra religiosità era ancora “primitiva”. Alcuni dettero la spiegazione: la gente cattiva era la causa di quel caos geologico. Adesso abbiamo capito tanto, da allora, e quel terremoto lo ricordiamo ancora come se fosse un nostro lontano parente: che ogni tanto si fa sentire…

 

Mario Ciro Ciavarella Aurelio