Mario Ciro Ciavarella Aurelio
San Marco in Lamis, martedì 5 novembre 2019 - E chissà come sarà lui domani. Su quali strade camminerà. Cosa avrà nelle sue mani, le sue mani. Si muoverà e potrà volare. Nuoterà su una stella. Come sei bella. E se è una femmina si chiamerà Futura” È una parte del testo della canzone “Futura” di Lucio Dalla, del lontano 1980. E parla di guerra, però queste parole si possono tranquillamente collegare anche ad altre “sventure umane” che hanno a che fare con il futuro di tanti bambini/ragazzini. il futuro, appunto.
In questo caso lo diciamo al femminile: Futura, come se fosse il nome di una bambina. Da un po’ di tempo il futuro potrebbe essere anche femmina, come centinaia di bambini italiani che vogliono cambiare il loro futuro, iniziando dal sesso. Il discorso è abbastanza complesso: parliamo di bambini o ragazzini “in transizione”, o per dirla tutta: ragazzini trans.
Eh sì, bambini o ragazzini che dopo pochi anni di vita (anche 11-12) sentono l’esigenza di cambiare sesso: da ragazzini vogliono diventare ragazzine o viceversa. Il problema è enorme, e di difficile soluzione. Partiamo subito dicendo che tutto questo è un problema: è inutile nascondersi dietro un dito. Fin quando l’esigenza di “transitare” da un sesso all’altro viene sentito da una persona adulta, e allora il problema non potremmo definirlo in questi termini.
Ma quando si tratta di ragazzini, il dramma esiste per loro e anche per i loro genitori che non sanno assolutamente come comportarsi, se assecondare le esigenze naturali del figlio, oppure riuscire a convincerlo a desistere. In tutta questa strana vicenda, il “bello” è che non si può tornare indietro: se il ragazzino decidesse per l’operazione chirurgica o per altri trattamenti simili per cambiare sesso, e poi a distanza di tanti anni volesse tornare indietro, indietro non si può tornare.
L’adolescenza è una brutta bestia: non è vero che è solo capelli al vento e motorini che sfrecciano con ragazzini sopra, ma è un passaggio psicologico e fisiologico che interessa tutti, dai 12 anni fino ai 18, più o meno. Figuriamoci se un genitore si sente dire da un figlio di 13 anni (ma anche di meno): “Mamma, ho deciso: da domani divento femmina, perchè mi piace truccarmi e farmi accarezzare i capelli dai ragazzini”.
Sarebbe un’adolescenza “al quadrato”. Qualcosa di terribile e inaccettabile penso da molti genitori. Oppure il percorso al contrario: vedere una figlia con i seni fasciati che vuole diventare uomo, e che non accetta parti femminili nelle recite scolastiche, ma solo parti maschili: vuole indossare i pantaloni!! come si diceva una volta.
In Italia sono 300 i casi ufficiali di “transizione” adolescenziale, ma sicuramente ce ne sono altri centinaia che non vengono dichiarati. Le strutture pubbliche sanitarie non sanno ancora bene come gestire queste situazioni che esistono da pochissimi anni. Naturalmente non ci sono condanne per questi ragazzini che chiedono di vivere secondo natura. Ma gestire la psiche degli adolescenti è una delle attività più difficili del Mondo, anche perché è in piena formazione.
Tanti anni fa casi del genere venivano “risolti” in modi molto sbrigativi: il ragazzo/a veniva recluso quasi sempre in campagna, lontano da occhi indiscreti, e se l’isolamento fuori città non era sufficiente, e allora si usavano le maniere forti: si bastonava il figlio/a “innaturale”, fino a riportarlo sulla “strada maestra”. Ma erano altri tempi, quando la religione e “l’onore” della famiglia la facevano da padrone, era prima di tutto un peccato per quel ragazzino ”nato male”, e poi il disonore per la famiglia era per sempre: il nome di quel ragazzo/a sarebbe stato ricordato per intere generazioni.
Questa nuova realtà non è sfuggita ai media, anche televisivi, e da alcuni giorni su Fox va in onda il telefilm “Butterfly”, la storia di un bambino (Max, nella foto) che vuole diventare una bambina (Maxine) e di una famiglia che lotta per conoscere il modo migliore per affrontare la transizione sessuale del figlio. Ormai si gioca a carte scoperte: non ci si nasconde più dietro un dito pieno di ipocrisia!!!
Un programma televisivo trasmesso in chiaro, potrebbe far nascere parecchie domande insidiose con pochissime risposte chiare: è giusto coinvolgere chiunque in un programma del genere, presentato semplicemente come un telefilm? oppure mettere dei dischetti di colore rosso come si usa ultimamente per avvertire il “gentile pubblico” che quel programma è “pericoloso”? A saperlo!!
Chissà cosa faranno tante ragazzine di nome Futura, domani. Su quali strade cammineranno e cosa avranno tra le mani. Dobbiamo solo aspettare e vedere il futuro, non solo di questi bambini, ma anche di tutti gli altri “normali”.
Mario Ciro Ciavarella Aurelio