Mario Ciro Ciavarella

San Marco in Lamis, sabato 26 ottobre 2019 -  “Le parole sono importanti!!!” sgridava in uno dei suoi film Nanni Moretti. Rimproverando un altro protagonista del film, asserendo che chi parla male, vive male. Poiché non ha voglia di cercare le parole giuste! Forse, ma non sempre è così: altrimenti nessuno capirebbe nulla di quello che diciamo. Considerato che quasi tutti “non parliamo bene”. Non  abbiamo il tempo materiale di cercare i termini più efficaci per farci capire.

Il tempo. È quello che manca spesso, anche per pensare. Figuriamoci se dovessimo trovarlo per scrivere o almeno ascoltare poesie. Anche per ascoltare poesie lette da alcuni appassionati del genere, bisognerebbe avere un po’ di tempo a disposizione. Non solo, ma anche una certa predisposizione d’animo non indifferente: le poesie, diciamolo, non sono per tutti.

Immaginiamo che i ragazzi protagonisti del film “L’attimo fuggente” avessero avuto all’epoca un jukebox letterario, chissà cosa avrebbero ideato. Per chi non lo ricordasse gli alunni del prof. John Keating (Robin Williams) riportarono in vita un gruppo "clandestino" di poesia, la setta dei poeti estinti, che avevano scoperto esistere già agli anni in cui il professore era studente, il quale ne faceva parte ed era stato il fondatore.

Chissà cosa avrebbero organizzato, accendendo quel jukebox avrebbero organizzato non gare da ballo, ma di dialettica e poesie da ascoltare e memorizzare, o soltanto da vivere! Le poesie si vivono come se fossero dei pensieri che ti entrano nella testa e ci abitano lì dentro per un po’ di tempo. Che potrebbe essere limitato o addirittura vicino all’infinito. Quante volte abbiamo imparato poesie alla suole elementari e le ricordiamo ancora, cosa che invece non riusciamo a fare con  quelle lette o imparate pochi anni fa. Dipende da quello che ci racconta il poeta. È sempre un discorso molto intimo: non spiegabile con la logica. 

Ed è quello che ha ideato il professore Mauro Cappotto, docente di Storia dell’arte al liceo di Capo d’Orlando (Sicilia), infondere emozioni, solo con le parole, senza immagini o suoni. La voce umana nuda e cruda che si sostituisce a tutto ciò che abbia a che fare con la musica, le immagini e il movimento del corpo. Staticità del tempo, infranto solo dalle parole di poeti lette… da un jukebox. Avete letto bene: da un jukebox escono non canzoni, ma parole. Letture di poesie tra le più belle di quelle composte da poeti italiani. Il tutto tramite un vero e proprio jukebox degli anni ’80 (funzionante), al quale sono stati tolti i dischi e inserite le registrazioni di versi poetici. L’impresa è ardua!!

 Il progetto è stato presentato nell’ambito della rassegna “Naxoslegge” di Fulvia Toscano e sarà diffuso in vari istituti per coinvolgere ragazzi e docenti che potranno suggerire nuovi brani da inserire. Come se in quelle sale una messa laica si diffondesse per convincere le genti ad una nuova religione: quella del sentimento. Forse non ci aveva pensato nessuno: anche il sentimento potrebbe essere un credo, fidarsi ciecamente delle parole di poeti anche non conosciuti di persona. Più atto di fede di questo…

 Ci si fida di quello che ci viene letto, senza nessuna possibilità di contraddittorio da parte nostra: avere fede nei sentimenti del poeta e farli nostri, se vogliamo. Come quando dai jukebox si ascoltavano  le canzoni, ci si lasciava coinvolgere dalla musica e dalle parole di quel brano. E spesso proprio quella canzone la riascoltiamo volentieri anche a distanza di decenni: ci ha convinti!! Ascoltare “Il cielo in una stanza” di Gino Paoli e farsi trascinare dalla musica e dal testo, e fare altrettanto quando si ascolta o recita “L’infinito” di Leopardi: è uguale, fede in quello che ascoltiamo.

 Anche senza la musica, la poesia ci rende più partecipi, nel senso che dobbiamo essere più attenti a quello che stiamo ascoltando: è quell’attenzione che potrebbe fare la differenza. E magari riascoltarla per capire bene quel concetto, e soprattutto l’ultima parola. Il passaggio finale della poesia forse è quello più importante: è quella parola che chiude il tutto e che fa riflettere.

 Ed è la parola che ricordiamo di più.  

 

Mario Ciro Ciavarella Aurelio