Mario Ciro Ciavarella Aurelio
San Marco in Lamis, lunedì 9 settembre 2019 - Quello che impressionava di più, era la lunghezza delle scale. Ed erano anche strette. Ci si chiedeva: “Ma a cosa può servire una scala così lunga?” Non l’ho mai capito. Ed erano appoggiate all’inizio di Via Amendola (“int la Noc lu Pass”), dove adesso c’è la BCC, e vicino le scale si vendevano utensili per la campagna e tutto ciò che potesse servire anche per piccoli lavori domestici.
L’accetta era l’oggetto caratteristico della Fiera di San Matteo a San Marco in Lamis di tanti anni fa. E l’ombrello. Anche l’ombrello era un acquisto gradito da parte di molti. Si aspettava questa fiera per comprare l’ombrello e l’accetta. Chissà perché. Se volessimo istituire un logo per la fiera del nostro paese, dovremmo disegnare uno scudo con all’interno, incrociandoli, l’accetta e l’ombrello. Un’araldica unica!!!
Continuando verso la parte alta di via Amendola, c’era un susseguirsi di ambulanti che vendevano articoli di questo genere, per poi arrivare vicino al cimitero dove sostavano i venditori di bestiame. I miei sono ricordi partono dalla metà degli anni ’70 e proseguono per una decina d’anni. Oltre non vado poiché non c’è più nulla da raccontare di particolare.
Ricordo che gli animali che sostavano nelle vicinanze del cimitero non erano molti: probabilmente eravamo verso la fine di questo tipo di commercio fatto in quel modo: vendere del bestiame a delle feste patronali. I mie ricordi virano sopratutto su quello che veniva venduto in Piazza Europa e zone limitrofe. Compresi i “barracconi”, senza luna park non c’è festa che tenga!
Oltre alla vendita di scale esagerate, per raggiungere chissà quale torri per liberare delle principesse prigioniere, l’altro aspetto “inquietante” che mi colpiva erano i venditori di piatti infrangibili!! Erano sempre sudati e grassi, con un fazzoletto perennemente legato al collo e un microfono attorcigliato alla gola, da dove provenivano gemiti e rantoli quando osannavano la merce in vendita.
I piatti che venivano venduti, erano più duri della roccia!!! L’imbonitore li sbatteva su un tavolo che aveva davanti a sè con tutta la forza che aveva in corpo. E lodava la qualità: “Vedete signore, non si rompono, non si spaccano, non si scalfiscono in nessuna maniera (rantolo), potete sbatterli anche voi a casa vostra (gemito), Li posso colpire anche con un martello, ma questi piatti hanno la testa più dura di un montone” (rantolo e gemito insieme).
Ora, ma come è possibile che vendessero quantità industriali di piatti ad un prezzo penso accessibile a tutti. E che non si rompevano?? Senza dubbio c’era il trucco, solo che difficilmente lo si scopriva in quei tre giorni di fiera, e quando si scopriva il trucco (quei piatti si rompevano come tutti gli altri piatti…), era torppo tardi: l’imbonitore era ormai in altre fiere a gridare con più forza che mai.
E infatti quando si ritornava a casa per far vedere alla moglie l’ottimo acquisto fatto, il piatto alla prima caduta si rompeva!! E la moglie rimproverava il marito che si era fatto fregare dall’imbonitore… con l’asma. Nella scatola che si portava a casa, non c’erano i piatti “da esibizione”, ma quelli “da rottura”…
E poi c’era un altro strano imbonitore: quello che ti vendeva qualcosa a scatola chiusa!! Inizialmente per attirare l’attenzione del pubblico regalava degli oggetti di poco valore, poi usciva il materiale in vendita, e proponeva l’acquisto ad un solo cliente, ad esempio, di un orologio a pendolo di ottima qualità, e te lo vendeva per poche lire. Poi chiedeva ai presenti se si fidassero di lui (?!), mettendo in bella vista alcune scatole chiuse dove dentro c’erano, a suo dire, altri orologi a pendolo.
Molti dei presenti si fidavano e mettevano sulla scatola chiusa diciamo 5.000 lire, pensando che lì dentro ci fosse l’orologio a pendolo venduto in precedenza ad un solo cliente. Dopo che l’imbonitore aveva messo in tasca il “bottino”, gli acquirenti dei pacchi chiusi potevano aprire le scatole, e solo qualcuno aveva trovato per 5.000 lire l’orologio a pendolo; tutti gli altri trovavano oggetti di poco valore. Come: gondole da mettere sul televisore, peluche… senza peli, palle di alberi di Natale (a settembre…), mattarelli, macina caffè, abat-jour senza lampadina, saliere, zuccheriere e tanti altri oggetti di pochissimo valore che difficilmente venivano portati in casa, si preferiva buttarli (c’erano le mogli che attendevano…).
Il corredo. Un altro capitolo di vitale importanza era: andare alla fiera per comprare il corredo. La marca più famosa era la “Paoletti” di Catania. Se la marca era quella, allora le donne non avevano troppi dubbi sull’acquisto. Altrimenti si ambiava bancarella. E siccome la fiera si svolgeva a settembre, il corredo serviva per le neo spose della successiva primavera-estate: non si doveva perdere l’occasione. E si vedevano donne che si portavano a casa, parecchi bauli di lenzuola, coperte e tutto ciò che servisse per le loro figlie da marito.
I pesciolini rossi. Uno degli aspetti che mi inquietava della fiera era la breve esistenza dei pesci rossi in vendita. Venivano venduti dentro delle bustine trasparenti dove dentro c’era un po’ di acqua. Il tutto lo si metteva nelle mani del piccolo acquirente e velocemente lo si portava a casa, per svuotare la bustina con il pesciolino rosso dentro una boccia di vetro, e subito al pesciolino “da allevamento” gli si dava del mangime. Ma non sarebbe servito a molto: morivano quasi tutti dopo qualche ora dall’acquisto, al massimo dopo due-tre giorni. Erano programmati…
Il luna park (“li barraccun”) occupavano gran parte della fiera. Erano disseminati un po’ ovunque: in piazza Europa c’era la ruota panoramica, le “macchine a scontro” sotto la villa, i dischi volanti a fianco la villa, il trenino vicino la scuola elementare Balilla, le “catene” vicino all’Opera Pia.
E poi dal 1980 e per molti anni, arrivò la novità del secolo: il Tagadà!!! “Lu farnar” come lo chiamavano gli anziani, e venne sistemato al posto dei dischi volanti, che vennero trasferiti. Il “Tagadà” è una giostra composta da una base a forma di disco sul cui perimetro sono disposti una serie di divanetti che guardano verso il centro dell'attrazione. L'intera attrazione gira su se stessa e viene fatta inclinare in modo ondulatorio facendo sobbalzare i passeggeri.
Non si divertivano solo quelli che prendevano posto sul Tagadà, ma anche gli spettatori che assistevano a coraggiosi giovani che, alzandosi dalla propria postazione, raggiungevano il centro della giostra cercando di non cadere. E la colonna sonora del Tagadà era una canzone appena uscita: “Could you be loved” di Bob Marley. Appena si ascoltavano le prime note di questo brano, il Tagadà partiva, e il ritmo era quello giusto: c’era una sintonia straordinaria tra le note di Bob Marley e il rullare del Tagadà!!
Le “macchine a scontro” erano per quelli che ancora non avevano la patente e facevano delle prove tecniche… di scontro!! Ci si scontrava con delle mini automobili che non avevano delle ruote, ma dei magneti e si muovevano grazie all’elettricità. A volte l’impatto non era così delicato, soprattutto quello frontale. E poi c’era sempre qualcuno che si “prendeva” un passaggio: si metteva in piedi sulla parte posteriore della macchina e con le mani si reggeva al palo che collegava la rete elettrica che sovrastava la pista, all’auto a scontro.
Ai dischi volanti ci si sparava… a salve, e quello che riusciva ad atterrare per ultimo vinceva un giro gratis. Naturalmente non c’era nessuna “battaglia nei cieli”, ma era il proprietario del luna park che decideva quale disco dovesse vincere. E quasi sempre sul disco volante più forte c’erano delle ragazzine. Hai capito il proprietario?? Sessista al contrario…
La “catena”. Lì sopra si volava e si andava molto in alto, soprattutto perché si veniva spinti da dietro da un amico con il quale si divideva la vincita del giro successivo, se si vinceva. E per vincere bisognava afferrare un fiocco attaccato sotto un pallone di colore rosso. A pensarci bene era anche pericoloso sedersi su delle sedioline che giusto ci si entrava dentro, quasi incastrati. E dopo il lancio, spinti da dietro con i piedi dell’amico, si rimaneva appesi con la testa all’ingiù e la pancia che appoggiava pericolosamente su una piccola sbarra. Meno male che da noi non è mai successo nulla di grave.
La ruota panoramica. Era sistemata dove adesso c’è il distributore della benzina Agip, e faceva concorrenza al palazzo di sei piani che si trova lì vicino. Non ricordo esattamente la grandezza, però penso che non fosse piccola: dall’alto si poteva ammirare benissimo tutta San Marco. Ci si poteva mettere in quattro sulla stessa “panchina”, e pregare che non si fermasse proprio quando la nostra postazione fosse la più in alto.
E poi il cantante famoso che veniva ad esibirsi nella villa comunale “direttamente dalla Rai, Radio Televisione Italiana”. Lo si aspettava da un anno, e se per caso la scelta del cantante famoso avesse deluso le aspettative dei cittadini, quell’errore veniva “rinfacciato” al comitato feste per un intero anno. Sui cantanti di San Matteo ritorneremo a parlare a breve con un altro articolo. Il manifesto del cantante che si sarebbe esibito per la festa, veniva affisso solo!! al Circolo del’Artigianato in corso Matteotti, dove adesso c’è un negozio di vini, di fronte la chiesa di Sant’Antonio Abate. Fino a quando non veniva affisso il manifesto in quella sede, nulla era certo!!
Prossimamente altri ricordi su questa festa, soprattutto sui cantanti.. croce e delizia della festa di San Matteo…
Mario Ciro Ciavarella Aurelio