Un altro celebre rapimento è stato quello subito dal ragazzo Cesare Casella, tenuto prigioniero per 743 giorni!! (quasi due anni), rilasciato nel 1989. Il suo “Hotel Supramonte” si trovava in Calabria. “Hotel Supramonte”, è un modo di sentirsi non più vivo, anche se si continua a respirare e a parlare solo con i propri rapitori. È un’assenza di vita sociale, è un modo per dire a se stesso che ancora non è finita, anche se i giorni che rimangono da vivere non li conosce nemmeno dio.
È sinonimo di liberazione che avverrà se il caso vorrà. Se qualcosa succederà, quel qualcosa non dipende da te. E forse nemmeno dagli altri che ti tengono prigioniero. Ma dipende da meccaniche terrestri che nessuno riesce a prevedere: da un secondo all’altro puoi essere liberato oppure ucciso. È una casualità che nemmeno il Caso quando venne creato può capire. La sensazione che chiamiamo “Hotel Supramonte” è stata vissuta anche da un grande della musica mondiale: Fabrizio De Andrè con la compagna Dori Ghezzi.
Rapiti nel 1979 in Sardegna e liberati dopo quatto mesi di prigionia. Ed è nella mente e nei ricordi del cantautore che questa definizione indica un malessere interiore che non ha una scadenza prestabilita ma che potrebbe protrarsi all’’infinito.
“E se vai all’Hotel Supramonte e guardi il cielo. Tu vedrai una donna in fiamme e un uomo solo. E una lettera vera di notte falsa di giorno”. I sentimenti sono “sdoppiati”: De Andrè E Dori Ghezzi vivono quella situazione in maniera diversa, solitudine e speranze quasi perse si fondono nelle lettere che i due scrivevano alle famiglie per accontentare i sequestratori pagando il riscatto. Lettere che forse non riuscivano ad ottenere gli esiti sperati: sembrava che non c’era disposizione da parte dei parenti dei due sequestrati a pagare il riscatto.
“Passerà anche questa stazione senza far male. Passerà anche questa pioggia sottile come passa il dolore”.Come una via Crucis si contano i passi fatti per arrivare al Calvario. Ma passerà. Qualsiasi cosa accada, ma quel sequestro passerà. I due prigionieri sanno che il dolore che sentono in quel momento finirà come quando la pioggia smette di cadere. “Perché domani sarà un giorno lungo e senza parole”. Riempire un vuoto che non vuole farsi occupare non è facile. La lunghezza di un giorno mette paura quando non c’è nemmeno un’eco che risponda alle tue domande. E’ un’attesa che non finisce con la parola fine, ma con la parola speriamo.
Come quando si aspetta il nemico arrivare: non si sa come e quando attaccherà.Stiamo lì in collina a guardare l’orizzonte fino a quando qualcosa in lontananza si muove. E corre verso di noi. In quel momento la vita riprende a respirare come dio comanda. I sussulti dell’anima ci dicono che lo scontro avverrà tra non molto. L’Hotel Supramonte è un luogo dell’anima dove lo spazio potrebbe essere enorme oppure appena sufficiente per respirare.Dove la vita ci abita per il tempo giusto per poter dire che le vite degli uomini sono tante, e non una. È un posto dove c’è spazio anche per quelli che ci stanno aspettando e non sanno nemmeno se siamo ancora in vita: lì vivono anche loro, ci vivono con i pensieri anche se i loro corpi non sono in quell’Hotel.
Per l’Hotel Supramonte non c’è bisogno di prenotare. Veniamo portati da altri, che vogliono farci vivere come mai avremmo voluto desiderare. Come se fosse un surplus, un’aggiunta di vita che la nostra anima non ha richiesto. Ma serve poter capire molto bene che le anime degli altri (di quelli che ci portano lì dentro) non sono come le nostre.
Mario Ciro Ciavarella Aurelio