Mario Ciro Ciavarella Aurelio
San Marco in Lamis, domenica 21 luglio 2019 - Tre fischi per decretare la fine di un incontro di calcio. Due per far capire che il primo tempo è finito. Uno solo per far dare il calcio d’inizio. E alcuni squilli del telefono per sapere che tuo figlio è morto. A vent’anni. Ucciso. In guerra. Lo sport non c’entra. E’ stata la guerra tra Israele e Libano che mise fine alla giovane vita di Amit Klein, figlio dell’arbitro FIFA Abraham Klein, israeliano.
Nel giugno del 1982, venne ucciso a Londra l’ambasciatore israeliano da alcuni sicari libanesi: tre giorni dopo Israele invade il Libano; è guerra, e si scatena una settimana prima del Mundial 1982 in Spagna. Abraham Klein è già in Spagna per dirigere alcuni incontri di calcio, ma i suoi pensieri sono sempre lì: sulla prima linea del fronte di guerra, dove suo figlio è impegnato. Ma muore.
Una settimana dopo questo struggente lutto, l’arbitro israeliano decide ugualmente di dirigere l’incontro tra Italia - Brasile, la più bella partita di tutti i tempi, come l’ha definita “Time”. Anche più bella di Italia - Germania del 1970 in Messico: lì di bello ci furono solo i supplementari.
È stata una decisione senza dubbio sofferta: lui si “giustificò” dicendo che a 44 anni, era l’ultima partita che avrebbe arbitrato. E così fu. Spesso si vive per non morire, si muore anche solo con il pensiero che qualcuno a noi vicino non sia più tra di noi. E’ stata la scelta giusta: altrimenti si muore prima del tempo.
La partita. Italia - Brasile (nella foto Klein, mentre Zico gli mostra la maglietta strappatagli da Gentile). Tutti a seguire le vicende pallonare di 22 calciatori che tirano calci ad un pallone, ma quasi nessuno sa che il ventitreesimo uomo in campo è un cristo laico che si sta portando sulle spalle una croce pesante quanto tutto lo Stato di Israele. Dove si vive da sempre con l’angoscia che prima o poi qualche “vicino di casa” un attentato te lo farà. E lo fa!!
Seguire le traiettorie di un pallone regolare, ma che viene calciato spesso con “l’effetto” impresso dai piedi di calciatori straordinari come Zico, Socrates, Rossi, Tardelli. “Effetto” che ha attinenze con la vita: niente di regolare, ma “viziato”. Parabole: calci che mandano il pallone in alto, che poi naturalmente cade a terra, preda di altri calciatori. Come la parabola della vita: si sale, poi si scende, si cade, si viene calciati (o scalciati), e poi qualcuno viene sostituito. Quando non serve più.
Come quando è morto il figlio di Abraham Klein: la sua parabola è avvenuta nel pieno della gioventù, a 20 anni. Mentre il padre seguiva altri giovani rincorrere un pallone per la gioia di miliardi di uomini sulla terra. Per vederli segnare: per vederli vivere. Quando si subisce un gol è come se si morisse. E il figlio di Abraham quel gol lo subì: venne ucciso dai libanesi in una guerra al di fuori di qualsiasi girone di qualificazione: le guerre nascono senza un regolamento, e tutti possono parteciparvi.
Un terreno di gioco e uno di guerra hanno poche differenze: si sta lì per vincere, anche ingiustamente, senza merito. Uccidendo sportivamente o umanamente. Abraham Klein il 5 luglio del 1982 ha visto “morire” i calciatori brasiliani, “uccisi” da quelli italiani. E ha immaginato come fosse morto il figlio: non lo si può sapere come muore un figlio sul fonte, nessuno te lo dice. Ma solo un padre lo sa immaginare: l’ha ucciso un calcio di rigore, ingiusto, dato fuori area.
Solo che nessuno ha potuto protestare, per quella morte: tutte le morti in guerra avvengono fuori da un’area di rigore. Lì le aree di rigore non esistono.
Mario Ciro Ciavarella Aurelio