Mario Ciro Ciavarella Aurelio
San Marco in Lamis, giovedì 20 giugno 2019 - È impossibile vedere questo film. Fino alla fine. Ma anche per mezz’ora. È come restare attaccati per quasi due ore davanti ad un computer o al telefonino. È claustrofobico al contrario: ti tiene con gli occhi fuori dal mondo, e cerca di non farti entrare, dentro una storia quasi assurda, non come svolgimento, ma come “metodo concepito”. È uno di quei film definiti come impossibili da seguire, al pari di “Memento” (2000) e “Inception” (2010), entrambi di Christopher Nolan.
Il titolo: “Searching” (2018) di Aneesh Chaganty, con protagonisti John Cho e Debra Messing. Parla di un delitto, quasi perfetto. Non vi diciamo chi è il colpevole, sforzatevi di vedere il film fino alla fine. Qual è la difficoltà visiva nel cercare di seguire tutta la vicenda? È quella di vedere lo svolgimento della storia non dal vivo, attraverso gli occhi dei protagonisti: ma sugli schermi di computer, telefonini, videocamere e tutto ciò che una “diavoleria” tecnologica sostituisce la vista.
Toglie il respiro: si passa dalle mail dei protagonisti, alle foto di gite e divertimenti vari degli stessi. Si capiscono le vite degli altri attraverso delle immagini quasi sempre fisse. Difficilmente si vedono gli attori camminare e fare qualcosa, se non quello di avere gli occhi su tutto ciò che riprende l’intera vicenda. Nel film ci si accorge di essere gravemente ammalati non parlando con dei dottori, ma vedendo le proprie cartelle cliniche su internet, i fogli di carta sono quasi inesistenti.
Ogni passaggio vitale è segnato da prelievi al bancomat, registrazioni; ogni passo fatto risulta informaticamente da qualche parte. Ed è da questi indizi che parte la ricerca della figlia, da parte del protagonista della storia. Ci sono indizi visivi dappertutto, ma non riesce a trovarla.
Le impronte digitali nella ricerca di persone scomparse, sono ormai un vecchio ricordo. La polizia scientifica lavora su tracce di informazioni digitali nascoste nei video di sorveglianza, nelle memorie dei computer e dei telefonini. E magari nel “Deep Weeb”, internet profondo, dove, quelli che ci sono entrati, lo hanno fatto per pochi secondi e una sola volta.
Il futuro (e il presente) delle relazioni è tutto in questo film, non solo i delitti, ma anche le amicizie, i sentimenti, l’economia e tutto ciò che gira intorno all’uomo del terzo millennio è racchiuso in pochi centimetri. Lo spazio di una piccola scatola dove la memoria cerebrale è stata sostituita da gigabyte di memoria informatica.
“Mala tempora currunt” (scusate il latino: di questi tempi è completamente fuori moda…)
Mario Ciro Ciavarella Aurelio