Mario Ciro Ciavarella Aurelio
San Marco in Lamis, sabato 15 giugno 2019 - In occasione della manifestazione nazionale “Grani futuri: di pane e di terra”, terza edizione. Un mio pensiero scritto per l’occasione. Non riuscivano a far lievitare una farina che trovarono per caso in un casolare abbandonato. Chissà da chi e da quanto tempo. Era una farina diversa: aveva il colore della pelle appena nata. Una pelle che non mostrava nessun segno di vita: nessuna sofferenza, nessun presagio di dura vita da sopportare nel tempo.
Ma solo, pelle. Carne fatta da altra carne, che emanava profumi estinti e che vivevano da tempi talmente antichi, che anche il Padreterno aveva dimenticato la loro esistenza. La farina venne messa su un tavolo e impastata con acqua che scendeva naturalmente da una fonte lì vicina. Una fonte che non aveva un inizio ben preciso: guardando in alto non si vedeva la generazione, ma solo acqua che cadeva su altra acqua. E in trasparenza rocce che davano il senso della fragilità della vita, perdendo, di tanto in tanto, un po’ di minerali.
Il pane così generato lievitava, con la lentezza che solo alcune forme di vita sanno: pensando. Il pane prendeva forma, pensando. Aveva dei pensieri che nemmeno un uomo di cento anni era riuscito ad illudersi che esistessero.
Il pensiero del pane è un pensiero che non ha forma, ma solo sostanza. Si regge su concetti tipo: “farò”, diventerò”, “amerò”, nutrirò”, “aspetterò”. Non c’erano affinità vicine alla morte o alla sofferenza.
I pensieri del pane si fermano prima. Si fermano alla giusta distanza dalla fine.
I due mugnai videro quello che stava succedendo e aspettarono che tutto si compisse, con una pazienza che fece invidia ai sette giorni della Creazione. Quando Tutto venne compiuto. Quando Tutto risultò “buono e giusto”. Quando i tasselli presero i loro posti e che il Primo Uomo vide. E sentì nell’aria un odore che gli ricordava quello dell’argilla dalla quale venne creato.
Le prime forme di pane uscirono dal forno. Non erano rotonde, ma avevano delle forme strane. Sembravano uscite da placente che avevano in esse tutto ciò che era utile alla vita.
In quelle forme di pane si vedeva il cuore, si sentiva il respiro di qualcuno che stava per bussare e chiedere se potesse vivere. Si vedevano palpebre che non volevano più nascondere gli occhi. Si sentivano urla sommesse, come quando si è felici e malinconici allo stesso tempo.
I due mugnai presero quei pani appena sfornati e li appoggiarono su dei carri. E li portarono in villaggi dove nessuno ancora ci abitava. E li lasciarono lì.
In attesa di gente che adottasse quelle forme di vita, e le facesse crescere come natura dispone. Come quando si cresce e ci si chiede fino a quando la gente avrà ancora fame.
E fino a quando l’Uomo sarà capace di nutrire i suoi simili con pane e intenzioni simili al pane. Dal pane venne l’Uomo. Solo che aveva il colore dell’argilla".
Soundtrack: “Pane e coraggio” - Ivano Fossati
Book recommended: "Pane e tempesta " di Stefano Benni
Film recommended: “Pane e cioccolata” con Nino Manfredi
Mario Ciro Ciavarella Aurelio