Mario Ciro Ciavarella Aurelio
San Marco in Lamis, lunedì 29 aprile 2019 - Siamo riusciti a contrapporre il grigio delle travi d’acciaio dei grattacieli, con l’azzurro del cielo. Abbiamo raggiunto vette forse in modi e tempi inaspettati, se consideriamo che 200.000 anni fa eravamo una delle tantissime specie viventi del nostro pianeta. Semplici ominidi che “campavano alla giornata”, raggiungendo tutti i punti cardinali della nostra Terra.
Oltre ad esserci spinti verso tutte le latitudini, siamo riusciti anche ad andare molto in alto: costruendo prima capanne, poi semplici abitazioni e da un centinaio di anni anche grattacieli che superano abbondantemente i 300 metri d’altezza. Stiamo costruendo modernissime Torri di Babele per sfidare ancora una volta la potenza di dio, e magari metterla in discussione.
E lo stiamo facendo senza fermarci: non siamo riusciti a mettere dei limiti oltre i quali non dobbiamo spingerci. Servendoci soprattutto di esseri umani che non soffrono di vertigini, e non hanno paura della morte. E mentre lavorano “verso l’alto”, mangiano, si riposano, discutono. Vivono come se avessero… i piedi per terra.
A volte siamo strani: riusciamo a vivere a centinaia di metri da terra, e poi quando passeggiamo tranquillamente, ci viene l’angoscia che il pericolo possa essere dietro l‘angolo o a pochi metri da noi. Forse verso l’alto incontriamo poche persone che potrebbero esserci d’intralcio, sarà questo il motivo che non ci crea molti problemi relazionali: lì, sui grattacieli incontriamo pochi simili!!
La foto in oggetto la conosciamo tutti: “Pranzo da un grattacielo”, un titolo semplicissimo, degno di un quadro di un pittore impressionista. Come dire: “Domenica al lago”, oppure: “Veduta del parco da una finestra della Reggia, o “Undici uomini in gita su un battello”.
Il titolo della foto “non incute timore”: non dà nessun segno di pericolo imminente per quegli uomini che sono lì, in bilico su una trave di un grattacielo in costruzione.
La foto è del 1932 e non si sa chi possa essere l’autore. La città è New York, ed è sicuro; mentre veniva costruito il Rockefeller Center, e quegli uomini coraggiosi sono sospesi all’altezza del 69esimo.
Sembra una chiacchierata tra amici senza nessun impegno particolare: non parleranno di politica, di sport, di religione. Sarà per questo che sono tutti tranquilli. Nessun segno di disagio. Forse discutono su come potrebbe essere quel grattacielo alla fine dei lavori. Oppure cosa fare subito dopo averlo completato.
Questi operai sono impegnati a confondere l’azzurro del cielo con il grigio dell’acciaio del grattacielo. Le loro vite sono state piene di giornate grigie, di pensieri grigi, di pelle grigia sporcata da quell’acciaio trasportato sulle loro braccia.
Spesso quando ricordiamo, le nostre “cartoline mentali” hanno dei contorni di un colore che ricorda quello della rosa. È l’unico colore che attenua sensazioni non proprio felici relative al passato. Di questi operai non sappiamo i loro ricordi quali potessero essere dopo aver completato quel grattacielo. Il grigio c’era di sicuro. E forse anche un po’ di rosa. Ma senza dubbio squarci di azzurro che vedevano ogni volta che alzavano la testa verso il cielo. Un azzurro che si stava rarefacendo sempre di più: man mano che la costruzione prendeva forma.
Avranno visto anche nuvole passare e pioggia cadere. E avranno pensato che vivere a centinaia di metri dal suolo, quello che c’è da capire lo si può apprendere prima. Qualche secondo prima che la pioggia cada sulla gente che sta camminando sotto quei grattacieli. E avranno discusso se ne valesse la pena costruire abitazioni così grandi, o ritornare a terra per costruirne di meno impegnative. Ma il progresso deve andare spesso verso l’alto: è lì che abitano tutti i misteri del mondo.
Chissà se un giorno riusciremmo a vedere cosa c’è dietro l’ultima nuvola, quella messa più in alto di tutte; e l’ultimo pezzo di cielo, quello più azzurro di tutti gli altri. Chissà…
Mario Ciro Ciavarella Aurelio