Fino Raffaele

San Marco in Lamis, mercoledì 10 aprile 2019 - In Fontamara, romanzo di Ignazio Silone, con un imbroglio, un graduato della milizia fascista fa firmare ai fontamaresi una “carta bianca” che doveva servire a far ritornare in paese l’elettricità, interrotta perché gli abitanti non pagavano le bollette per le misere condizioni di vita. In realtà la “carta bianca” sottoscritta dai fontamaresi altro non era che una autorizzazione a deviare il corso del fiume verso i terreni dell’Impresario, un imprenditore legato al fascismo che ricopriva la carica di podestà.

 Con l’inganno i fontamaresi furono privati di un bene comune: l’acqua del fiume  necessaria alla coltivazione dei loro campi. Da questo episodio inizia la lotta dei fontamaresi per riavere l’acqua. (L’avranno?- Leggere  o rileggere il romanzo-). Di Fontamara, - si parva licet componere magnis  (se mi è concesso paragonare le piccole alle grandi cose) -, mi sono ricordato quando ho letto la sentenza del Consiglio di Stato, la N. 01016/2017, pubblicata il 06/03/2017 e regolarmente trasmessa al nostro comune circa due anni fa  riguardante un altro bene comune e cioè le terre demaniali gravate da uso civico. Terre di proprietà della collettività (l’universitas), che il comune amministra a nome e per conto dei cittadini e il cui uso ( ivi comprese le somme rivenienti dalle affrancazioni) deve servire al bene della collettività.

E, appunto, perché servissero alla collettività,   circa 970 mq di terreni demaniali gravati dall’uso civico, furono utilizzati per la redazione  del Piano di Zona 167 di Borgo Celano, più semplicemente conosciuto con il nome Piano di Zona Santa Rita.

Questi 970 mq, pur essendo inseriti costantemente nelle varie redazioni del Piano di Zona,  - a partire dal lontano 1978 (cito a memoria) – non furono mai assegnati, come standard del Piano di Zona, alla cooperativa interessata, la  Santa Rita V, in quanto detenuti da un privato cittadino, che si è opposto con contenziosi vari,  ivi compreso un procedimento penale nei confronti del sindaco dell’epoca – lo scrivente -, che con ordinanza sindacale aveva ordinato la reintegra  dei terreni in questione nel patrimonio demaniale.

I contenziosi hanno riguardato:

  • Il Comune
  • Il Commissariato agli Usi Civici
  • L’insieme della cinque cooperative
  • La cooperativa Santa Rita V
  • La prefettura di Foggia ( per protesta tutti i soci restituirono al Prefetto i certificati elettorali)
  • Il Sindaco pro tempore (lontano 1987) che aveva ordinato la reintegra
  • Il Commissario ad acta nominato dalla Prefettura, che aveva predisposto le ordinanze di demolizione dei 60 alloggi. Ordinanze fermate dalla lotta delle cooperative
  • Il singolo socio, il cui alloggio era sul “confine” proprio perché non erano stati reintegrati i 970 mq in questione.

Nell’insieme i contenziosi sono venuti a costare tra i 150 e i 200.000,00€. (Cercheremo di dare la cifra esatta e dettagliata in un prossimo intervento).

Tutto ciò perché  il Comune, nelle sue articolazioni  politiche e burocratiche,  non ha sempre e costantemente difeso il punto di vista che i terreni demaniali gravati da uso civico inseriti in un piano di zona, che ha valenza di pubblica utilità, non possono essere affrancati a favore del privato cittadino, ma solo  sdemanializzati per l’uso pubblico.

Punto di vista ribadito dalla sopra citata sentenza  che, nella disamina del ricorso presentato contro il diniego di affrancazione dei circa 970 mq, ribadisce, in vari passaggi, la prevalenza dell’interesse pubblico  e “…la relativa attrazione – dei 979 mq -  al patrimonio del Comune, evidente conseguenza dell’intervenuta approvazione del P.E.E.P.”

Quarant’anni per avere giustizia. Quarant’anni di lotta di pochi. 

Quanto fastidio si leggeva in molti amministratori quando si poneva il problema delle Santa Rita.

Quante tensioni e quante spese sostenute. Chi  le ripagherà?

P.S.

IL Consiglio di Stato, nel citato provvedimento, nel condannare i ricorrenti, in solido tra loro, a rifondere al Comune di San Marco in Lamis le spese di lite  “ordina  che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa”.

Sono passati abbondantemente due anni e  “niente è stato eseguito”. Del problema nei mesi scorsi ho parlato con i rappresentanti dell’Amministrazione e degli uffici interessati e ho presentato una nota scritta protocollata Il  12 febbraio 2019 (v. allegato).

Sono già passati due anni e, al momento,  nessun atto è stato adottato.

Passeranno  altri quarant’anni?

Speriamo di no. E speriamo anche che la matassa, finalmente sbrogliata, non  si  imbrogli di nuovo. Alla Silone parlando.

 

Raffaele Fino