Mario Ciro Ciavarella Aurelio
San Marco in Lamis, giovedì 28 febbraio 2019 - Forse nessuno sentì i 100 colpi sparati da Mubutu Sese Seko. Uno per ogni detenuto scelto a caso sotto il terreno di gioco dello stadio di Kinshasa. Dove c’era una delle carceri dello Zaire. Uno stato che non esiste più, come nome, ma che adesso tutti conosciamo come Repubblica Democratica del Congo. Cento colpì che aprirono i festeggiamenti per l’incontro di sempre, non del secolo, come spesso si dice, ma di sempre.
E quei colpi di pistola vennero sparati dal dittatore di quelle terre. Lui solo poteva decidere la vita o la morte di ognuno dei suoi sudditi. Ma anche per ricordare che l’Umanità è nata lì: in Africa, dove ci furono i primi combattimenti tra primitivi, per decidere chi dovesse comandare l’altro. Un luogo non casuale ma voluto da tanti: dal dittatore Mubutu, da Don King l’organizzatore dell’incontro, dalla federazione mondiale di pugilato, e anche da Cassius Clay e George Foreman.
Tutti lì, tutti neri, tutti che combattevano per qualcosa: il dittatore per far sapere al mondo che il centro dell’Africa era suo e in quei giorni aveva dato la “Costituzione” ai suoi sudditi, Don King per far capire che era lui il migliore organizzatore al mondo di incontri di pugilato, la federazione rappresentava il proprio sport come la “nobile arte”, e i due pugili per far restare nella mente dell’umanità chi fosse il più forte di sempre!
Nella notte del 30 Ottobre del 1974, Kinshasa divenne la capitale degli uomini: tutti avevano gli occhi puntati su quel ring, posizionato al centro dello stadio, dove c’erano almeno 100.000 spettatori a tifare tutti per Cassius Clay. Forse si voleva rappresentare l’Alba dell’Uomo: quando i primi ominidi si scontrarono tra di loro per darsi un re!! Sicuramente un despota, poco democratico, ma unicamente più forte fisicamente.
Nella boxe si grida chiaramente che bisogna ammazzare l’avversario, come si gridò quella notte: «Ali boma yé», Ali uccidilo. E quello che doveva morire era Foreman, un nero poi così non proprio nero, ma un quasi bianco, un americano non solo di nascita. Cassius Clay invece rappresentava l’Uomo Perfetto, nato da “Mamma Africa”, solo lui poteva far capire soprattutto agli americani che l’Africa deve dettare legge quando si ha a che fare con la Natura e la Forza dell’Uomo.
Fu un incontro per ritornare alle origini: ognuno al suo posto, i neri davanti e tutti gli altri dietro, come un ipotetico corteo di merito. Come i tamburi: lì nacquero in giungle come quelle dello Zaire. Come la musica: lì nacque con i primi ritmi primordiali degli ominidi di 200.000 anni fa. Come le prime morti dell’umanità: avvennero lì, e lì si pianse per la prima volta coloro che non c’erano più.
I pugni dei due contendenti battevano il ritmo di due cuori appena nati: quando si incrociavano i guantoni dell’avversario, nascevano altri uomini che gridavano per la gioia di essere nati. Quando uno dei due pugili crollava sul ring, c’era un africano che stava soffrendo, ma non moriva, si rialzava e combatteva di nuovo, contro un suo simile nella giungla, nella savana, contro tutti coloro che lo volevano uccidere. Pugni primordiali.
Il ring di Kinshasa era come una culla dove nascevano i primi pugni degli uomini: mani che si muovevano cercando qualcosa da abbattere, uomini contro, natura umana contro sè stessa. La logica non era nata con l’Uomo. E forse nemmeno dopo. Solo la forza aveva un senso. Un senso che dava forza al Creato di esistere: si nasce e si vive con la forza di vivere, se manca si muore.
Al centro della Terra c’erano Foreman e Clay: rappresentavano tutti noi, quelli più forti e quelli più deboli, quelli che sono già morti e quelli che vivono, quelli che nasceranno e quelli che soffriranno. E quelli che perdono. Quelli che non vincono in questo incontro, vennero rappresentati da Foreman. E sono la maggior parte dell’Umanità. Si combatte sui ring di tutto il Mondo. Quel ring è ancora lì, nello stadio di Kinshasa. Anche se nessuno lo vede, ma è ancora lì. Al Centro della Terra.
Mario Ciro Ciavarella Aurelio