Mario Ciro Ciavarella
San Marco in Lamis, martedì 13 marzo 2018 - Il problema principale era la polvere. Ma anche le impronte digitali lasciate lì sopra, non scherzavano. Si aveva la voglia di fare la prova del DNA per capire quale sporcaccione aveva lasciato tutte quelle impronte di dita sporche sui solchi dei nostri dischi. Venivano presi dai bordi, quasi sfiorandoli, senza alitarci sopra, quasi sfiorandoli. Sospendendoli in aria con entrambe le mani, dopo averli tolti dalla custodia di cartone e dopo averli sfilati dal contenitore più interno di carta, quello con un buco in mezzo.
Il colore era nero. Poi vennero quelli “picture”, colorati ma con la qualità audio molto bassa. Dopo, anche qualche pezzo tutto bianco invece che tutto nero. In principio giravano a 74 giri, poi a 33 e anche a 45. L’ago veniva appoggiato con metodo: un atto quasi religioso, come quando si mette in bocca ai fedeli l’ostia. Solo che in questo caso l’ago veniva appoggiato su un disco, per la precisione un vinile. Quello che ha dei solchi concentrici, dall’esterno verso l’interno, dove al centro c’è l’etichetta con il nome del cantante e i titoli dei brani presenti su entrambi i lati. I dischi!!!
Avevano uno strano effetto appena presi in mano: non davano segni di vita, forse anche perchè erano tutti neri, sembravano senza anima e senza sostanza. Ma una volta che iniziavano a girare si animavano e quasi ti guardavano negli occhi, come dire: “Non te l’aspettavi!!” Queste sensazioni che venivano vissute qualche decennio fa, le sto rivivendo da qualche mese, seguendo il programma televisivo in onda su Sky dal titolo “I miei vinili”. Un bellissimo programma a costo zero dove il bravo presentatore Riccardo Rossi invita alcuni personaggi famosi a portare con loro cinque dischi che hanno caratterizzato le loro vite. E il programma funziona!!!
Solo cinque dischi, il presentatore e l’ospite e niente altro. Oltre a mezz’ora di ottima musica, confidenze e cenni storici su quei dischi e sulle vite degli ospiti. Sono tutte canzoni datate: nessuno che porti dischi di pochi anni fa. Addirittura Giovanni Malagò, il presidente del CONI ha portato una canzone cubana del 1912, per ricordare le origini della madre. E rimani sorpreso quando personaggi insospettabili confidano momenti “strani”, che non ricordiamo in questo articolo, e che hanno conservato gelosamente da sempre!! Come se quei ricordi fossero stati conservati per poi essere raccontati in questo programma. I dischi sono delle macchine del tempo: hanno la capacità di farti tornare indietro e raccontare episodi della propria vita che non si riescono a dimenticare.
Se questi episodi venissero raccontati senza il sottofondo di quelle canzoni, il tutto sarebbe molto piatto. La differenza la fa proprio il motivo musicale che scivola sotto il racconto degli ospiti. Riccardo Rossi è bravissimo a ravvivare il programma quando questi prende una piega fin troppo triste o intimista. Ed è bravo a non scavare troppo negli animi degli ospiti: non siamo mica a “Storie maledette” o “Amore criminale”? Lo stesso avviene nel nostro piccolo mondo, quello senza le telecamere, quando stiamo in casa. Ci mettiamo seduti, posizioniamo il disco sul giradischi dopo aver rivisto per la centesima volta quella copertina che magari si apre, e l’ago scivola su quei solchi.
Il soffitto diventa viola come nella canzone “Il cielo in una stanza” di Gino Paoli. E non ha nemmeno pareti, ma tutto ciò che riusciamo ad immaginare. Intanto la copertina è ancora nelle nostre mani e si riesce a scorgere anche dei nomi, che possono essere di amici o quello del rivenditore dove lo abbiamo acquistato. E ci si accorge che sulla copertina ci sono delle firme, dei nomi: i ricordi prendono il volo e quella canzone che stiamo ascoltando della durata di tre minuti, diventa eterna. I nomi dei nostri amici sulla copertina di un disco valgono più di una decina di foto. Ricordi perfettamente quando te l’hanno regalato o prestato. Ricordi il perché di quelle firme su quella copertina. E ricordi anche perchè quel disco non tuo è rimasto a te. I vinili erano come dei diari di bordo, dove, anche se mancano le date, non mancano le vite.
Poi il disco si ripone nella copertina, la si ammira ancora una volta, e prendiamo il prossimo vinile. Dove magari non c’è nemmeno un nome di un nostro amico. Ma le impronte digitali non mancano mai!! Sono dei “passaggi obbligati”, quelle orme di dita che hanno il sapore del tempo, che passa e della musica che è sempre quella.
Solo quella che piace a noi…
Soundtrack: “Quel motivetto che mi piace tanto” - Pippo Barzizza
Film recommended: “La canzone dell’amore” di Gennaro Righelli
Mario Ciro Ciavarella