Mario Ciro Ciavarella

San Marco in Lamis, martedì 30 gennaio 2018 - La foto di questo articolo non dirà nulla a quelli che hanno meno di 30 anni. Non capiranno cosa fanno quelle persone che stanno in fila in attesa di chissà che cosa. Si vede un uomo dentro una cabina e non si capisce bene cosa stia facendo. Confessando, no: manca il prete. Starà fumando cercando di non farsi vedere da qualcuno? i vetri della cabina sono trasparenti, quindi… Sta semplicemente telefonando. Ma la gente fuori dalla cabina cosa fa?

  Sta aspettando. È in attesa che quella telefonata finisca. Per poi finalmente entrare e telefonare, avendo dentro le tasche, ma anche nelle mani, dei gettoni telefonici. Degli strani oggetti rotondi di colore ramato con in mezzo una tacca che divideva in due il gettone.

 Se si telefonava in città o nello stesso distretto telefonico, bastava un solo gettone e si parlava per abbastanza tempo (per quanto non lo ricordo). Ma se dovevi chiamare qualcuno che avesse un prefisso telefonico diverso dal tuo, con un solo gettone non riuscivi a concludere nessun tipo di discorso.

 Quello che mi incuriosisce di questa foto non è la persona al telefono, ma la gente in attesa. Quel tipo di attesa era molto diverso da qualsiasi altro tipo. Da quello dal medico, oppure da quando si aspetta per entrare in un bagno che è occupato, oppure quando si aspetta il proprio turno per essere interrogato ad un esame.

 Aspettare il proprio turno per poter telefonare, era un’attesa che ti allungava la vita. Si viveva un tempo molto dilatato: si ripeteva in mente tutto quello che si doveva dire all’interlocutore che si trovava dall’altra parte del telefono. Chiunque egli fosse: un amico, come poteva essere la fidanzata oppure un parente.

 Era come quando ci si doveva confessare, si ripeteva in mente tutti i peccati da confidare al prete. Solo che il prete comunque ti assolveva, ma l’interlocutore che si trovava dall’altra parte del telefono poteva rimproverarti, come poteva essere d’accordo con te su tutto.

 Ognuno di noi aveva diversi argomenti da trattare. Se c’erano cinque persone in attesa che si liberasse quella cabina telefonica, sono sicuro che c’erano cinque argomenti diversi che venivano lanciati dall’altra parte del cavo telefonico.

 Quell’attesa era come attendere una clessidra si svuotasse di tutti i suoi granelli per farli andare nell’altra metà della stessa. Solo che si aveva la sensazione che quei granelli non volessero scendere: sembravano frenati nella loro discesa. Sembravano granelli che erano diventati più grandi e difficilmente riuscivano ad entrare nella fessura che si trova proprio in mezzo alla clessidra.

 Era un’attesa che a volte non ti spazientiva, ma ti portava consiglio. Ti faceva riflettere se fosse il caso di non fare quella telefonata, che poteva cambiarti la vita, in meglio o in peggio. Nessuno poteva prevedere l’esito delle proprie telefonate.

 Si aveva, in pratica, più tempo di pensare. Si rifletteva quei minuti in più che spesso potevano essere vitali. Le cabine telefoniche avevano anche questo valore aggiunto: ti donavano più prudenza.

 Era come un confessionale, dove prima di entrare, “ti confessavi da solo”. Chissà quanti litigi sono passati in quei cavi telefonici. Quanti baci dati sulla cornetta sono arrivati a destinazione. E quante volte, prima che la persona chiamata rispondesse, si sentivano singhiozzi, e poi qualche parola spinta fuori dalla gola con la forza della disperazione, riusciva ad arrivare dall’altra parte del telefono.

 Anche i sospiri erano contemplati in quelle telefonate. Adesso i sospiri nei telefonini non si “usano”: non c’è tempo per sospirare, siamo talmente inondati da telefonate e messaggi, che non siamo più abituati a sospirare, sentendo una parola o una frase detta dall’altra persona che ci ha chiamato anche solo per ascoltare la nostra voce.

 Sono quelli che non sono previsti nelle telefonate di oggi. Un sospiro che durava un attimo, in quei momenti poteva sembrare lungo quanto una dichiarazione d’amore. Si aveva la sensazione che, dopo quelle telefonate, fossero passate anche ore, invece erano telefonate che duravano alcuni minuti: non sempre si avevano gettoni sufficienti per parlare per molto tempo.

 Intanto a pochi metri da te, c’era la fila di persone che ti guardava come per dire: “E posa quel telefono!!” Anche quelli che erano in attesa di telefonare da quella cabina telefonica, avevano la sensazione che le loro vite “stavano invecchiando”.

 Soundtrack: “Chiamate Napoli 081” - Mario Merola

 Film recommended: “Perfetti sconosciuti” di Paolo Genovese

 

Mario Ciro Ciavarella