Mario Ciro Ciavarella

San Marco in Lamis, venerdì 22 dicembre 2017 -  Troppe luci. Forse è questo ciò che non ci permette di vedere l’invisibile. Le dimensioni non sono tre, queste sono quelle visibili. La fisica ci insegna che le dimensioni dello spazio sono 12, più il tempo. Tra le pieghe dello spazio ci sarebbero volti e voci che non riusciamo a vedere e nè a sentire. Le sensazioni, le voci che giungono da lontano, ombre diafane che si spostano velocemente davanti ai nostri occhi, potrebbero giungerci da mondi vicini e lontani allo stesso tempo.

  I rumori di oggi non ci permettono di ascoltare voci che forse sono rimaste impresse nelle mura di alcune case. La casa forse ha un’anima, ed è quella delle persone che hanno vissuto in quel posto ed è lì che hanno lasciato le loro vite. Le loro esperienze, le loro gioie e i loro dolori.

 Nulla si distrugge e tutto si trasforma. Anche le vite vissute e che lasciano questa terra, imprimono delle scie nelle case dove sono vissute. Tanto tempo fa non era difficile ascoltare storie di “scazzamuredd” che convivevano con componenti di alcune famiglie.

 Folletti dispettosi oppure simpatici, che potevano arricchire quelle famiglie, come potevano essere una maledizione. C’è gente che giura di aver visto dei folletti rompere i piatti nelle loro case. Dobbiamo meravigliarci? Io no. Perché dovrei? Il mondo è pieno di stranezze e di storie assurde.  

 Il camino era la fonte di ogni storia raccontata dai nostri avi. Era lì che ci si raccoglieva quando il nonno con la mano chiamava a raccolta i più piccoli, e tutti ci avvicinavamo all’oratore che guardando il “piccolo pubblico” presente iniziava dicendo: “Questa storia è successa allubbon”.

 Era una frase che non lasciava nessun dubbio: si doveva credere a tutto quello che da quel momento veniva raccontato. Erano racconti poveri, nel senso che la povertà era sempre presente in queste storie. Era difficile ascoltare delle storie dove erano tutti re, regine, principi, contesse…

 La povertà dava origine al dolore della vita. Ed era vista come una natura matrigna: non dava niente a nessuno. La natura ti donava la vita, senza un minimo di corredo per poter andare in giro decentemente.

 Il vecchio e la vecchia di questa commedia rappresentano tutto ciò che adesso non esiste più. Non c’è l’’immaginazione, non ci sono case come quelle di una volta dove poter raccontare “li cunt”, non ci sono le cisterne dentro casa dove ascoltare la voce “dellu Trajone”, non ci sono tesori nascosti dentro muri da scavare. Non c’è più nulla!!! Ci siamo solo noi, gente di oggi che non comprendiamo un passato non molto lontano.

 La storia di quest’anno è molto diversa da quelle precedenti, che scrivo da almeno 15 anni. E’ una storia per me. Quasi in senso egoistico. Mi voglio raccontare una storia che piace a me. Per due ore voglio spegnere tutto: tv, computer, telefonino. Non voglio nemmeno ascoltare le  chiacchiere della gente (che sono sempre quelle!!!!)

    Questa commedia cercherà di fermare il tempo. È quasi un giallo: due atti che avranno un inizio e una fine che… si morderanno la coda!! Personaggi che gireranno intorno ad alcuni episodi e vedremo se riusciranno a venirne accapo.

 Il “tempo” di una volta è diverso dal “tempo” di oggi. Ma forse il tempo non esiste. Sarà un’altra delle nostre invenzioni per poter dire che tra un anno potremmo raccontare quello che abbiamo fatto negli ultimi dodici mesi, e dire di essere migliori di prima.

 Vi aspettiamo dal 25 al 28 dicembre ore 20.30 - Teatro del Giannone – San Marco in Lamis

 

Mario Ciro Ciavarella