Mario Ciro Ciavarella
San Marco in lamis, martedì 24 ottobre 2017 - Nelle foto che ritraggono i toreri, si vedono gruppi di ragazzi e ragazze che circondano questo “atleta” che sta per entrare nell’arena. In quel gruppo di giovani che sorridono, l’unico che non lo fa è il torero. È già in divisa dopo essere stato sottoposto ad una vera e propria vestizione per posizionare il “Traje de Luces” sul corpo del giovane, che non sorride.
Non sta pensando al suo passato, ma al suo futuro. Non sente assolutamente nulla di quello che accade intorno a lui: le risate dei ragazzi che non lo lasciano per la foto di rito, non le sente. Ha i suoi pensieri rivolti verso l’arena. È lì che saprà se i sorrisi di quei suoi amici che gli stanno addosso, potranno continuare.
Lo stesso atteggiamento del torero lo si può riscontrare nei soggetti che venivano ritratti molti decenni fa. Anche nei primi anni della fotografia, nessuno che, non dico rideva, sorrideva. Erano visi tirati, seri, che puntavano l’obiettivo come per sfidarlo, se veramente riuscisse a ritrarli così come fossero, reali. Anche gli sposi nel giorno del loro matrimonio non ridevano.
Quelli che non avevano il coraggio di guardare nel suo unico occhio ciclopico, l’obiettivo, avevano dei visi mesti, ormai ridotti sulla difensiva. Come dire: prendi bene la mira e fai sapere al mondo che noi siamo così, come tu ci vedi. E racconta quello che hai visto.
Forse la gente di tanti anni fa non rideva davanti ad una macchina fotografica perché non c’era l’igiene orale che c’è adesso: tutti avevano dei denti cariati o che mancavano del tutto; però tutte le persone dell’epoca avevano i denti malmessi, il fatto di vederli o meno in fotografia non sarebbe stato notato, essendo una cosa normale.
Oppure, agli albori della fotografia per poter “scattare” una singola foto, la macchina fotografica ci poteva impiegare anche alcuni minuti, non era questione di un click come lo è stato decenni dopo. Per poter “registrare” una singola foto difficilmente si poteva tenere sempre un sorriso sincero da lasciare ai posteri.
Un’altra teoria dice che quelli che sorridevano erano i poveri, i matti, i comici; quindi nessuno di tutti quelli che non facevano parte di queste categorie voleva che venisse confuso con questi. E assumeva una posa innaturale ma più seria.
Facevano bene i Pellerossa che non volevano farsi fotografare: dicevano che in quelle macchine nere finiva la loro anima, e quando si dovevano presentare davanti a Manitù, ci andavano sprovvisti della loro parte spirituale. E Manitù li condannava.
Chissà da quando gli uomini decisero di sorridere sapendo che qualcuno li stesse fotografando. Sarebbe interessante sapere qual è stata la prima foto che ritrae una persona che sorride. Difficile ricerca.
Quando, adesso, ci mettiamo davanti ad una macchina fotografica o davanti ad un telefonino lo facciamo sapendo di lasciare ai posteri quello che in quel momento siamo. Non raccontiamo un storia che possa avere anche alcuni giorni di vita. Ma raccontiamo solo quell’attimo, quello preciso, in cui facciamo cadere il dito sul pulsante.
Le risate che non si sentono provenire dalle foto del passato, avevano vita propria: non vogliono far sapere agli altri che la vita di quelle persone ritratte sono state vissute anche ridendo, per non piangere. E tutto questo su una lastra fotografica non rimane impresso.
Soundtrack: “Fotografie” - Claudio Baglioni
Film recommeded: “Blow-Up” di Michelangelo Antonioni
Mario Ciro Ciavarella