Mario Ciro Ciavarella
San Marco in Lamis, venerdì 29 settembre 2017 - Dopo che “Non c’è più religione!”, siamo passati ad un momento storico in cui ci devono stare le parolacce!! Stare, nel senso che devono vivere per sempre e proliferare nel tempo! E più ce ne sono e più il discorso fila! Sembra strano, eppure la cultura che evolve, ci sta portando verso questo altro traguardo dell’Umanità: dare senso compiuto ai discorsi, rafforzandoli con parole a schema libero, che non sono quelle dei cruciverba. Ma parolacce, come e quando si vuole!
Sembra che con il passare del tempo, si stiano inventando nuovi termini offensivi, che diano un senso ancora più marcato ai nostri concetti, espressi magari più volte e diretti al maggior numero di persone.
Il “Me ne frego!!” di mussoliniana memoria, ha fatto il suo tempo: è ormai una frase fragile, poco offensiva e nemmeno troppo intimidatoria; che tanto tempo fa, poteva incutere timore ad un’intera Nazione.
Non voglio assolutamente fare un elenco delle parolacce più usate, basta vedere i tanti film dei vari “Pierini” e di Lino Banfi, per farsi un’idea di quello che si possa trovare nel vocabolario “Italiano-Parolacce, Parolacce-Italiano”.
E da lì si potrebbe partire per cercare di colmare un vuoto esistenziale per quelli che non sanno più cosa rispondere quando qualcuno li offende.
Non confondiamo la parolaccia con la bestemmia: quest’ultima non offende l’uomo, ma dio. Ecco perché tempo addietro, la bestemmia era un reato. Invece le parolacce cercano di ridicolizzare l’avversario, non sapendo come farlo in altri modi.
Ma offendendo dio, il discorso si complica. In questo caso l’uomo punisce “il peccator parlante”, per non far ricadere su di esso l’ira di dio!! Che sarebbe molto più severa di quella dell’uomo-giudice.
C’è un bel siparietto tra i bambini del libro (e del film) “Io speriamo che me la cavo”, dove alunni di quella scuola fanno a gara a chi riesce ad offendere in modo più “espressivo” l’amico di banco, dicendogli la parolaccia più lunga, e che comprenda più parenti possibile del ragazzo, al quale la super-parolaccia è diretta.
Nel nostro Sud la parolaccia è un “modus operandi”: la si usa anche per salutare amichevolmente l’amico che non si vede da troppo tempo, chiedendogli come mai fosse ancora vivo (“Non t’accid ancora nisciun?”)
Ho visto recentemente la serie televisiva “Dowton Abbey”, dove si racconta la storia di una ricca e numerosa famiglia inglese di inizio ‘900. Questo serial, molto elegante, forse è l’unico esempio di intrattenimento dove non c’è, non dico l’ombra di una parolaccia, ma nemmeno il minimo accenno di nervosismo e agitazione che potrebbe coinvolgere i personaggi di questa storia.
A Dowton Abbey tutto è perfetto, fine, raffinato, compreso i congiuntivi pronunciati dai domestici (ignoranti) che servono in modo impeccabile i padroni di casa.
La parolaccia che manca, è quella che potrebbe dare un senso compiuto nella storia di “Dowton Abbey”. Anche perché non mancano in questa serie televisiva, le disgrazie: morti, povertà assoluta di alcuni personaggi, eventi nefasti presenti e futuri. Eppure lo stile rimane intatto: tutto viene detto e fatto senza il minimo imprecare verso il prossimo.
Però, parliamo di una storia di oltre 100 anni fa, quando, forse, le parolacce avevano un valore: si dicevano quando era proprio necessario. Un valore aggiunto!!
Film recommended: “Brutti, sporchi e cattivi” di Ettore Scola
Soundtrack: “Te c’hanno mai mannato a quel paese” - Alberto Sordi
Mario Ciro Ciavarella