Antonio Daniele

San Marco in Lamis, venerdì 1 settembre 2017 -  Quello che mi colpisce di più vedendo i ragazzi con la sindrome di down è il loro sorriso. Prima delle parole, parla il loro volto: Fatto di sorrisi, abbracci e baci. Dovremmo imparare da loro, noi “normali”, a vivere la vita con lo sguardo allegro e sorridente. In questi giorni i quotidiani italiani hanno pubblicato la notizia che l’Islanda sta per diventare il primo paese europeo ad avere nascite zero con la sindrome di Down.

 Letta così mi sembrava un passo della medicina che aveva scoperto chissà che cosa per evitare questa sindrome. Leggendo l’articolo scopro che all’inizio della gravidanza le donne sono invitate a fare il test per scoprire problemi legati alla vita nascente ed eventualmente abortire. Salvo il diritto dei genitori a sapere le condizioni del nascituro e a prepararsi per il dopo, rimango inorridito da tale scelta. La vita va salvaguardata sempre, soprattutto ai più deboli e indifesi. Oggi i più indifesi sono soprattutto le persone che ancora non nascono.

Il diritto alla vita è superiore al proprio diritto di avere una vita senza problemi. Ritornando alla vita dei ragazzi Down, sono frequenti ogni giorno notizie dei loro progressi se sono inseriti pienamente nel contesto sociale. A Roma, e in altre parti d’Italia, hanno aperto pizzerie, lavorano in aziende, studiano e si laureano a pieni voti. Penso, quindi, che trattare questa notizia con enfasi è una nota stonata. Perché i ragazzi Down vogliono vivere e sentirsi pienamente partecipi della società.