Mario Ciro Ciavarella

San Marco in Lamis, mercoledì 24 febbraio 2016 -  Quasi quasi nella sala parto il neo papà non vede l’ora che suo figlio esca dalla pancia della mamma per scattare… la prima foto. Quella che dopo pochi secondi andrà a finire immediatamente su facebook, e dove da lì a poco arriveranno decine di “mi piace” e condivisioni. E sarà la prima di centinaia di foto che seguiranno la crescita di questa nuova creatura terrestre. Tutte messe su facebook. La prima foto. Ormai sta assumendo lo stesso valore del primo bacio, del primo amore, del primo dentino che cade, della prima parola che esce dalla bocca del bambino. 

 Ma non tutti avranno la fortuna di avere una vita… parallela a quella reale. Una vita che sarà piena di foto, commenti, selfie che riempiono ogni giorno i nostri diari di facebook.

Perché molti neonati nascono… morti o muoiono poco dopo. E quindi niente vite da condividere con gli amici su facebook. Dramma nel dramma!!

Per sopperire, se così possiamo dire, a questa mancanza di affetto virtuale (e spesso inutile e patologico) al quale molte vite saranno sottratte, ci hanno pensato alcuni fotografi, che scattano artisticamente delle foto a bimbi morti.

Così come si faceva in epoca vittoriana, quando i nobili facevano immortalare i loro figli morti in tenera età in atteggiamento… da vivi.

Per avere l’illusione che quelle giovanissime vite non erano state spezzate dal destino o dal caso, ma che continuavano a vivere in quelle famiglie. Era un modo per essere più forti della morte.

La differenza sta nel fatto che le foto scattate “nell’era facebook” servono, appunto, per condividere, far sapere ed elaborare il lutto in modo… informatico, accettando la morte.

Invece in epoca vittoriana quelle foto servivano per non arrendersi alla morte, ma di combatterla sullo stesso terreno: quello della vita che continua comunque, abbigliando i bimbi morti come se fossero vivi, metterli seduti e non sdraiati e magari metterli al seno della mamma per allattarli… come se fossero vivi!!??

La “moda” di fotografare bimbi morti è gestita soprattutto da “Now Lay Me Down Sleep” e ha coinvolto negli ultimi anni oltre 1600 fotografi volontari di 40 Paesi. Professionalità che servirà ai genitori di questi sfortunati bimbi, di poterli ricordare in modo… artistico.

Le foto sono giustamente tutte in bianco e nero, per dare un senso di lustro e rispetto ad una vita che non è stata… vita, ma solo un incidente non voluto da mente umana, ma che il caso o il destino ha deciso in tal senso.

E quindi, è anche un modo per “ribellarsi” a ciò che l’uomo non può gestire: fotografare chi è nato da poco ed è vissuto pochissimo. Ma con quelle foto e la diffusione su facebook, si dà continuità ad una vita non più… in vita.

Una vita digitale e informatica che resterà, volendo, per sempre!!! Bambini non esistenti in vita, vivranno nei profili di migliaia (anche milioni) di internauti, i quali potranno fantasticare sul futuro di quelle vite spazzate in così poco tempo.

E in futuro potranno nascere anche profili facebook dedicati a questi esseri viventi vissuti per poco, con i genitori che infoltiscono quei profili con preghiere rivolte ai loro figli defunti e con elaborazioni al computer di quelle che potevano essere le fisionomie future di quei bambini, vivendo.

Così, si potrebbe immaginarli a qualsiasi età: il viso di mio figlio a 13 anni, poi a 30, poi…

Ma anche cosa quel figlio poteva fare nella vita reale, magari sovrapponendo caratteri e personalità dei genitori: un miscuglio di generi per trarne alla fine una nuova identità per i figli mai cresciuti e vissuti.

Immaginarli anche sposati e con figli a loro volta. Insomma una vita vera e propria, sicuramente migliore della nostra. Nella quale viviamo quel che ci resta.

E sui nostri diari di facebook non possiamo barare: siamo costretti a mettere quello che siamo, fisicamente ed emotivamente.

Anche se molti esagerano: mettendo troppi sorrisi, troppi “amici” e soprattutto troppe foto di… antipasti, insaccati e derivati vari che affollano quasi tutti i profili di facebook.

Di noi che non abbiamo avuto una “vita… previta” e post mortem come i bambini di questo articolo.

 

Mario Ciro Ciavarella